Il governo nell'aggiornamento al Documento di economia e finanza del 2016 che fa da base per quello per il 2017 riduce la crescita del Pil del 2016 allo 0,8% contro l'1,2 previsto e aumenta il deficit al 2,4%. Per il 2017 ammette che la crescita del Pil, senza ulteriori spinte, arriverà solo allo 0,7% e invece che il deficit dell'1,8% indicato da Bruxelles chiede una deroga eccezionale di 0,2 punti per arrivare al 2%, ripiegando rispetto alla precedente intenzione di un deficit al 2,2%. Per rimediare al ripiegamento, cerca una flessibilità di altri 0,4 punti che spera sia basata sulle regole europee per eventi eccezionali, ossia il sisma del Lazio e Abruzzo e l'assistenza agli immigrati. Il deficit sarebbe al 2,4% e ciò farebbe salire il Pil del 2017 dallo 0,7 allo 1,1. Questo aggiornamento costituisce, dunque, la ammissione della sconfitta della politica del governo con riguardo alle flessibilità richiesta e ottenuta per il deficit di bilancio per la riforma del mercato del lavoro col Jobs Act e per la mobilitazione di capacità produttiva inutilizzata, mediante aumenti della domanda di consumi. Entrambe le politiche hanno dato risultati piccini ed effimeri. Il Jobs Act ha fatto crescere l'occupazione solo inizialmente grazie agli sgravi contributivi temporanei e non ha stimolato la crescita effettiva del Pil nel 2015-2016 e quella potenziale del 2017 è ferma allo 0,7% perché non ha stimolato la produttività. Gli incentivi alla domanda interna con bonus non hanno creato crescita permanente e hanno generato pochissima crescita temporanea. I deficit senza sostanziale effetto di crescita del Pil hanno fatto salire il rapporto debito pubblico/Pil. Tale aumento riducendo la solidità patrimoniale degli operatori che possiedono debito pubblico ha generato la caduta di valore di titoli bancari e un maggior rischio per l'investimento in Italia. Ora, data questa politica inadeguata che ci indebita, la crescita del Pil si è afflosciata allo 0,7%. Per arrivare all'1% di aumento del Pil nel 2017, il governo adotta un deficit di bilancio aggiuntivo di 0,4 punti di Pil, circa 7 miliardi. Esso riguarda spese del governo per beni correnti e di investimento di aiuto ai terremotati e ricostruzione e messa in sicurezza dai sismi futuri e inoltre spese correnti per beni e servizi a carico del governo per 150-160 mila nuovi migranti. Tali spese insieme alla maggior spesa pubblica pensionistica generano una crescita del Pil di 0,4 punti perché fanno aumentare la spesa del governo di altrettanto. Un giochetto temporaneo, che non ha effetti di crescita sul Pil futuro, mentre il rapporto debito/Pil rimane su livelli anomali - rischiosi se non vi si porrà rimedio - quando cesserà la politica monetaria di Qe (facilitazione quantitativa del credito) della Bce. I ribassi di imposte sono rinviati, i buchi di bilancio per i quali non bastano i nuovi deficit vengono tappati con un altro mini condono per rientro di capitali dall'estero, un nuovo provento dalla lotta all'evasione (forse in realtà abrogazione di esoneri fiscali), una nuova mini riduzione di costi per acquisto di beni della Pa, che potrebbe consistere, in parte, in rinvio dei pagamenti. Niente spending review, niente privatizzazioni.
Per le imposte promesse di riduzioni future e così per il Ponte, che Berlusconi aveva iniziato e il Pd - tornato al governo - ha tagliato. Tante promesse. C'è il referendum, bisogna guadagnar voti e allungare i tempi, poi si vedrà.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.