Milano - Loro, i criminali: belli, colti, feroci. Lui, il magistrato che li ha accusati: magro, frugale. In mezzo un abisso sociale e generazionale. La storia dei delitti dell'acido non è solo una vicenda criminale di sconvolgente crudezza. È anche la storia di un faccia a faccia durato quindici mesi tra Marcello Musso, sostituto procuratore a Milano, e la coppia: Alex Boettcher e Martina Levato, il broker e la bocconiana, che ora si rinfacciano le colpe delle aggressioni. Mercoledì sera, con altri ventisei anni inflitti a Boettcher, il pm Musso ha finito il suo lavoro.
«È stata - racconta Musso ieri mattina - una esperienza professionale e umana che mi ha segnato, diversa da tutte le mie precedenti esperienze processuali, anche quelle pesanti condotte davanti alle corti d assise di Palermo e di Milano. E sia chiaro che i ventitré anni irrogati mercoledì a Boettcher non mi rendono affatto felice. Non si può essere contenti nel constatare il dramma umano, esistenziale e sociale che sta dietro questa sentenza di condanna. Qui ci sono danni enormi per la società, per le vittime, per questi giovani incolpevoli che hanno perso per sempre la loro fisionomia; ma anche per gli stessi imputati che, come ha ricordato ieri Stefano Savi, una delle vittime, si sono rovinati la vita. Volevano cancellare l'identità degli altri, invece hanno cancellato la loro».
Chi comandava, Alex o Martina?
«Al primo processo ho chiesto la stessa pena per entrambi, perché comandavano tutti e due insieme».
Si scambiavano messaggi osceni e brutali. Che effetto le ha fatto leggerli?
«Di tristezza. E anche di benevole comprensione, perché tutti noi, tra giovani, ci siamo scambiati dei messaggi di discutibile contenuto. Il punto è che le persone normali non risolvono i loro rapporti a suon di acido lanciato in faccia. Comunque mi sono ben guardato dall'introdurre nel processo qui filmati che poi ha portato in aula la parte civile, con Boettcher che sgozza le galline, che scarnifica la Levato, e che la spinge a bere l'urina. Non dobbiamo perdere il rispetto per le persone, perché noi non giudichiamo le persone ma i fatti».
Ma poi sulla scena ci sono degli esseri umani, e il degrado dei rapporti personali che emerge da questa storia è desolante. Da dove viene questo degrado?
«Io credo dal benessere. Se si fosse trattato di gente delle barriere delle nostre città, costretta a iniziare a lavorare fin da quattordici anni per mantenere i fratelli più piccoli, non avrebbero avuto nemmeno l' idea di commettere le azioni che hanno commesso».
Lei è stato criticato perché a Ferragosto andò a trovare in clinica, appena nato, il figlio di Alex e Martina.
«La nascita di Achille è un dramma nel dramma. Lo è per i sui genitori, che dovranno pagare un prezzo in più per le loro colpe, perché rischiano di vedersi sottratto il figlio. Ed è un dramma soprattutto per lui, che è un'altra vittima incolpevole di questa storia. Io provavo e provo tenerezza per quel bambino. Della mia visita sono state date interpretazioni malevole. Ma io prima di andare in clinica chiesi il parere di mia madre, che è un'anziana contadina piemontese. Mi disse: m'as capis che t'oi d'andè, si capisce che devi andare. Lo rifarei».
Come è stato per uno che viene dalla cultura delle campagne piemontesi rapportarsi con i figli degeneri della Milano bene?
«A Pasqua ero a casa, e ai miei compaesani sa cosa aveva fatto più impressione della mia requisitoria? Quando dicevo che Alex è un dissipatore. Da noi il sacrificio nella costruzione delle cose è un valore profondo, c'è radicata in noi l'idea giansenista che guadagni il Paradiso se ti dimostri bravo nel costruire una solidità economica. Quando un testimone in aula ha raccontato che la mamma di Alex aveva qualche tempo fa venduto l'azienda, che non aveva voluto mandarla avanti, ho pensato che da noi la terra non si vende, mai. E che se Boettcher avesse avuto da imparare un mestiere, da mandare avanti un'azienda, non avrebbe fatto quello che ha fatto».
Adesso che senso ha permettere a Alex e Martina di vedere il bambino, lasciare che si crei un legame tra il piccolo e due che staranno decenni in carcere? Forse aveva ragione il pm dei minori, la dottoressa Fiorillo, che voleva dare un taglio netto.
«Anche io sono un pm. Evidentemente io e la collega parliamo la stessa lingua».
E ora che è tutto finito cosa farà? É contento di tornare ai suoi narcotrafficanti?
«Vuol mettere lo spessore?»
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