Politica

Il delirio femminista di Boldrini e Murgia contro la "maschilista" Meloni

Dopo l'Usigrai pure Boldrini e Murgia in campo: scomodano la grammatica per dar contro la Meloni e tirano in ballo i diritti delle donne che, però, sono un tema ben più serio

Il delirio femminista di Boldrini e Murgia contro la "maschilista" Meloni

Il presidente. E non la presidente. E tantomeno la presidenta. Il presidente, punto. Questione di grammatica. O, se vogliamo, di libertà linguistica. I soloni del politicamente corretto, le femministe e le varie boldrini - che da anni pretendono di storpiare la lingua italiana imponendo il femminile a parole che al femminile diventano impronunciabili - dovrebbero farsene una ragione una volta per tutte. Ma non ce la fanno. Non riescono proprio a mandare giù la scelta di Giorgia Meloni. Il punto è che non digeriscono la sua presenza a Palazzo Chigi, figurarsi sentirla dire dallo scranno di Palazzo Chigi che, per quanto le riguarda, va benissimo essere chiamata presidente, rigorosamente con l'articolo maschile davanti. E quindi: travaso di bile, digrignare di denti e fumo dalle orecchie.

Le femministe, dunque. Quelle sono tutte sparite. Altro che applausi alla prima donna a capo del nostro governo. Non una parola, nemmeno una frase di circostanza. D'altra parte lo aveva spiegato Laura Boldrini, l'indomani della vittoria della Meloni alle elezioni. "Non tutte le donne sono uguali. Alcune sono peggiori di altre", aveva detto tranchant ai microfoni del Giornale.it. Certo, non ci saremmo mai aspettati caroselli e fuochi d'artificio. Non siamo degli sprovveduti. Ma nemmeno che il dibattito sarebbe subito scivolato sulla necessità di storpiare l'italiano. Ci ha pensato l'Usigrai ad aprire le danze, non solo facendo sapere che non accetterà la scelta della Meloni ma altresì impedendo a tutti i giornalisti che lavorano nella tivù pubblica (quella per cui ogni anno versiamo l'obolo) di usare l'articolo il davanti a presidente. Imposizione assurda dal punto di vista linguistico (l'Accademia della Crusca avalla la scelta) oltre che da quello della libertà d'espressione.

Rotto l'argine col comunicato dell'Usigrai, ecco che sono scesi in campo i campioni dei pesi massimi del politicamente corretto. O meglio: le campionesse. Laura Boldrini e Michela Murgia. La prima: "Cosa le impedisce di rivendicare anche nella lingua il suo primato? O forse affermare il femminile è chiedere troppo alla leader di Fratelli d'Italia che già nel nome dimentica le Sorelle?". La seconda: "Non è il sesso di chi comanda che conta, è il modello di potere che si ricopre. Il modello di potere di Meloni è quello maschilista 'al maschile'". Un vero delirio senza senso. Verrebbe da chiedere all'accoppiata Boldrini-Murgia: ma davvero credete che i diritti delle donne passino dalla grammatica?

Il fallimento delle quote rosa, da sempre propugnate invano dal Partito democratico, basterebbe a spiegare il flop di una certa sinistra radical chic. Non tutti, però, da quelle parti sembrano averlo compreso. Lo dimostra il tenore delle dichiarazioni della Boldrini e della Murgia. E lo dimostra pure il fatto che in Italia, come nel resto del mondo, è sempre il centrodestra ad affidarsi alla guida di una donna. E non per un assurdo calcolo di quote ma per il merito. Il merito, appunto. Termine sconosciuto in campo progressista. Forse perché declinato al maschine. Ma c'è un'altra parola, questa al femminile, che dal Pd in giù sembrano ignorare del tutto: libertà. Libertà anche di farsi chiamare il presidente, senza che nessuno tiri in ballo i diritti delle donne.

Che sono un tema ben più serio.

Commenti