Dell'Utri resta in cella: "Mi vogliono morto, basta cibo e terapie"

Il tribunale di Sorveglianza di Roma nega la sospensione della pena: «Si curi in carcere»

Dell'Utri resta in cella: "Mi vogliono morto, basta cibo e terapie"

Adesso si prepara a morire. Per davvero. Marcello Dell'Utri l'aveva fatto capire agli avvocati nei giorni scorsi: «Sono stanco». Ma i giochi erano ancora aperti, ancora non si sapeva quale sarebbe stato l'orientamento del tribunale di sorveglianza. Ora invece la partita è chiusa: l'ex parlamentare rimane in cella. Per i magistrati che hanno esaminato il suo caso le sue condizioni di salute sono compatibili con il carcere e può continuare a curarsi in cella.

Lui la prende malissimo e butta via ogni residua forma di diplomazia, affidando ai suoi legali una nota durissima e cupa, quasi un messaggio di sfida e di addio: «Preso atto della sentenza di rigetto con cui il tribunale di sorveglianza ha deciso di farmi morire in carcere, ho deciso di farlo di mia volontà, adottando da oggi lo sciopero della terapia e del vitto».

Niente cibo, dunque, e niente medicine. Un prospettiva pericolosissima per il settantaseienne ex senatore: Dell'Utri ha una grave patologia cardiaca ed è stato aggredito da un tumore maligno alla prostata, diagnosticato a luglio.

Il proposito di non mangiare più e di interrompere le cure equivale appunto ad un suicidio. Certo, Dell'Utri ha perso ogni speranza, non ha più fiducia nella giustizia e a questo punto ritiene più dignitoso non combattere più una battaglia persa.

Il tribunale di sorveglianza ha seguito le indicazioni dei propri periti che pensano ci siano margini per effettuare le terapie necessarie in carcere. I consulenti della difesa avevano proposto invece la scarcerazione oppure, come alternativa più soft, il trasferimento in regime di detenzione in una struttura ospedaliera. Un percorso condiviso dai medici della procura generale che avevano suggerito il ricovero in una struttura attrezzata e avevano identificato tre ospedali a Milano e due nella capitale in cui trasferire l'ingombrante detenuto.

Ma, come raccontato dal Giornale, in aula a sorpresa il sostituto procuratore generale Pietro Giordano aveva preso le distanze dai propri tecnici, accodandosi a sorpresa alla tesi dei periti del tribunale. E ora il verdetto conferma la linea dura: l'ex parlamentare resta a Rebibbia. Anche se è a rischio per via del cuore malato. E anche se ai guai che l'affliggono si è aggiunto da ultimo pure il tumore maligno alla prostata, diagnosticato in luglio.

Non importa. L'istanza «umanitaria» è stata respinta, cosi come la precedente presentata l'anno scorso, quando le condizioni dell'ex senatore si erano aggravate. A questo punto se non succederà altro, Dell'Utri rimarrà in cella fino alla fine della pena. Il fondatore di Publitalia è stato condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed è stato arrestato a Beirut nell'aprile del 2014. In teoria, la detenzione dovrebbe finire nella primavera del 2021, ma conteggiando i bonus previsti dall'istituto della liberazione anticipata il periodo in prigione dovrebbe finire prima.

E dev'essere valutato anche quel che sta succedendo alla Corte dei diritti dell'uomo: nei giorni scorsi i giudici di Strasburgo hanno chiesto chiarimenti all'Italia su molti punti controversi e hanno stabilito che le risposte debbano arrivare entro il 15 gennaio prossimo.

La Corte potrebbe condannare l'Italia perché il reato per cui è scattata la condanna è stato codificato solo nel 1994 ma gli episodi attribuiti a Dell'Utri si fermano prima, nel 1992.

Ci vorranno comunque mesi prima che Strasburgo si pronunci. Un periodo troppo lungo: Dell'Utri non ha più tempo.

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