
Esiste un certificato d'affetto? Una carta bollata che dimostri quanto un essere umano ama un suo parente, quanto gli sia legato, quanto soffra per lui? Se questo certificato esiste, V.D., detenuto cinquantaduenne, non l'ha trovato. Non ha saputo a quale anagrafe del cuore rivolgersi. E così gli è toccato restare chiuso nella sua cella del carcere di Bollate mentre suo nipote, stroncato a quarant'anni da un infarto, era in una bara nella camera ardente; e poi mentre la bara veniva chiusa, e l'uomo sepolto al termine del funerale. Il giudice di sorveglianza che doveva autorizzare il permesso gliel'ha rifiutato. Prima perché mancava la prova del rapporto di parentela: così mamma e fratelli del defunto sono dovuti correre in municipio, abbandonando la salma, per ottenere il certificato. Ma neanche quello bastava, il giudice voleva la prova della "effettiva esistenza di una relazione affettiva e continuativa tra i due". Una prova impossibile. Chi poteva testimoniare che zio e nipote si volevano bene? Il nipote no, perché morto. Lo zio no, perché chiuso in carcere. Così il permesso non è arrivato. Lasciando l'avvocato del detenuto incredulo. "Non ho mai visto una cosa del genere", dice Gianpiero Verrengia, raccontando all'agenzia Agi l'incredibile vicenda.
A rendere ancora più surreale la storia, alcuni dettagli. V.D. non è un boss della mala. È un emarginato che ha accumulato reati su reati, quasi tutti legati alla droga. Ha da scontare una dozzina d'anni, ma il fatto che sia recluso a Bollate, il più umano dei carceri milanesi, è la prova che non è considerato pericoloso. Si dirà: anche i piccoli criminali scappano. Vero. Ma V.D. ha già dimostrato con i fatti che non vuole tagliare la corda: quando morì un altro parente, il giudice gli permise di uscire per il funerale, lui andò e tornò in cella. A farlo uscire fu lo stesso giudice che stavolta gli nega il permesso. Come mai? Conta più un cognato, un cugino, un nonno, nella graduatoria giudiziaria degli affetti? E poi al giudice sarebbe bastato poco per avere la certezza che V.D. e il nipote avevano un legame forte: il nipote era tra i pochi parenti autorizzati a visitare il detenuto in carcere.
Andare al funerale, insomma, non era una scusa di V.D. per farsi una passeggiata all'aria aperta. Eppure la sua domanda è stata respinta. Canterebbe De Andrè: il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri. Anzi, i magistrati.