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Quel devastante giustizialismo targato Bindi

Quel devastante  giustizialismo targato Bindi

La commissione Antimafia presieduta da Rosi Bindi, a cui è affiancato Claudio Fava, stabilisce che chi è inquisito, chi è rinviato a giudizio, chi attende una sentenza di primo grado e chi aspetta la conclusione di un iter processuale fondato sui tre gradi di giudizio, non deve presentarsi alle elezioni. E la presunzione d'innocenza sancita dalla Costituzione?

Dimenticata, cancellata, abrogata di fatto da una cultura giustizialista diventata egemone raccogliendo l'eredità ed intrecciandosi con quella cultura totalitaria formata da tardo marxismo-leninismo con contaminazioni di integralismo cattolico che aveva dominato il paese nei decenni precedenti. La cultura giustizialista ha conquistato il suo predominio all'epoca della cosiddetta rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite e da quel momento ha incominciato a permeare del suo carico di illiberalità autoritaria e di livore populista ogni angolo della società nazionale. Con i risultati devastanti che tutti hanno sotto gli occhi ma che solo pochissime voci osano denunciare per paura di venire schiacciati da un pensiero unico ossessivo e dominante che usa la riprovazione sociale creata dai media politicamente corretti per combattere i propri avversari. Rosi Bindi, con il suo delirante dossettismo trasmesso ai componenti della commissione Antimafia, ha di fatto reintrodotto la censura preventiva nel nostro paese (caso Rai) ed alzato l'asticella della presunzione di colpevolezza portandola fino all'avviso di garanzia con la valutazione preventiva dei candidati.

Chi urla «onestà, onestà» scambiando per valore uno scontato dovere civico è sicuramente contento. Ma non si rende conto che sta avallando un ritorno alla Santa Inquisizione che nella storia non è stata il regno dell'«onestà» ma della prevaricazione ammantata da motivazioni religiose. Questo processo regressivo sembra essere il tratto distintivo della egemonia giustizialista. Che negli ultimi vent'anni ha paralizzato l'Italia frenando qualsiasi tipo d'investimento esterno, bloccando ogni tipo di attività industriale, rallentando con l'incubo della facile incriminazione spesso infondata la macchina amministrativa dello stato, delegittimando non solo il mondo della politica ma le stesse istituzioni democratiche e lo stato di diritto. In cambio di questa paralisi generale del paese è forse aumentato il tasso di civismo, di legalità, di giustizia? Niente affatto. In un clima sempre più plumbeo e disperato la corruzione è aumentata e le mafie continuano a prosperare. Il sacrificio in termini di libertà non ha prodotto e non può produrre alcun risultato concreto. L'egemonia giustizialista serve solo a fare regredire la società italiana.

E a creare le condizioni per una degenerazione totalitaria che non produce «onestà» ma solo arbitrio e povertà.

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