Il dilemma di Draghi: nessuno (tranne Letta) s'intesta la battaglia per candidarlo al Colle

Ma il leader dem teme di farlo diventare un "nome di parte". E Salvini chiederebbe garanzie sul futuro governo. Il segretario della Lega: "Enrico non mi vuole ministro"

Il dilemma di Draghi: nessuno (tranne Letta) s'intesta la battaglia per candidarlo al Colle

A parole, non c'è leader di partito che non sia d'accordo nel portare Mario Draghi al Quirinale. Nei fatti, come spesso accade, il quadro è più complesso e un po' meno scontato di quanto sembri. Che l'ex numero uno della Bce sia la personalità italiana più autorevole all'estero, infatti, è fuori di dubbio. Non tanto perché lo si dice in Italia, quanto perché lo sostengono proprio oltre confine. Ma questo non basta a superare i dubbi di chi proprio con Draghi ha avuto in questo ultimo anno un rapporto più o meno difficile. E, soprattutto, le perplessità di quello che potremmo chiamare il partito trasversale dei «Draghi-scettici»: una corposa truppa di grandi elettori che appartiene a tutti i partiti dell'arco costituzionale e che vede nel trasloco diretto dell'ex Bce da Palazzo Chigi al Colle un concreto rischio che si finisca per andare a sbattere contro le elezioni anticipate. Non un dettaglio, soprattutto considerando che i due terzi degli attuali deputati e senatori - complice anche il taglio dei parlamentari - non saranno rieletti. E che per tutti quelli al primo mandato - circa il 65% del totale - la pensione scatterà solo se la legislatura arriverà al D-day del 24 settembre 2022. Ecco perché, la stessa truppa di cui sopra, pur silenziosamente, continua a tifare per il Mattarella bis, soluzione che congelerebbe la scenario, salvando seggi e pensioni.

Un'ipotesi che il capo dello Stato continua a ritenere irricevibile, anche se ieri qualcuno faceva notare che nel 1998 fu proprio lui - intervistato dal Corriere della Sera - a lanciare l'idea di un bis dell'allora presidente uscente. «Mattarella: perché non rieleggiamo Scalfaro al Quirinale?», era il titolo inequivocabile di un'intervista a firma Francesco Verderami. Con tanto di spiegazione ragionata. «Se l'accordo giungesse nel quadro di una rinnovata intesa sulle riforme e se l'intesa ripartisse dall'elezione diretta del presidente della Repubblica - spiegava l'allora capogruppo del Ppi - potrebbe essere un'ipotesi. Ovviamente, aggiungeva Mattarella, questo presuppone un buon clima politico.

La corsa di Draghi verso il Colle, invece, presuppone che qualcuno - magari domenica o all'inizio della prossima settimana - si spenda pubblicamente per mettere sul tavolo il suo nome. Ma chi può farlo? Difficile che l'ex Bce possa affidarsi a Matteo Salvini o Giuseppe Conte. Anzi, i due ieri si sono concessi una reunion che mancava dai tempi del Papeete e pare non abbiano avuto parola affettuose per Draghi. Il leader della Lega, infatti, al di là delle dichiarazioni pubbliche, non ha mai trovato una sintonia con il premier, senza dimenticare che fu proprio Draghi a non volerlo al governo. Inutile dire, invece, del capo del M5s. Conte e Draghi, infatti, sono quanto di più lontano possa esserci, umanamente e non solo. Difficile pensare, insomma, che l'autoproclamato avvocato del popolo voglia un presidente delle Repubblica con cui i rapporti sarebbero sostanzialmente pari allo zero. Anzi, stando a quanto riportavano ieri ambienti dem, Conte avrebbe invitato Salvini a fare una riflessione sull'ipotesi di un Mattarella bis.

A lanciare Draghi potrebbe essere invece Enrico Letta, nonostante i dubbi di un pezzo importante dei suoi gruppi parlamentari. Per il segretario dem, infatti, la mossa farebbe uscire il Pd dall'impasse. Ma darebbe all'attuale premier una colorazione politica che oggi non ha. Draghi, insomma, finirebbe per essere il candidato del Pd. E a quel punto sia Salvini che Conte magari risponderebbero dicendosi d'accordo, ma porrebbero pesanti condizioni sul governo. Il leader leghista, per dire, guarda ancora con nostalgia ai giorni andati del Viminale.

Anche se sa bene che nell'anno che porta alle politiche del 2023 è improbabile che il Pd possa davvero accettare di sedere in un governo con Salvini ministro. «Letta metterebbe il veto sul mio nome», ha detto proprio ieri il leader della Lega a Conte.

Tutte ragioni, queste, per cui il segretario del Pd - ad oggi - è ancora restio a mettere sul tavolo il nome di Draghi.

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