Dimesso il «Paziente zero» «Ma ora tornerò in Africa»

Il medico di Emergency a casa dopo 37 giorni. Dal suo sangue il vaccino per curare i malati: «Non sono un eroe, solo uno più sfortunato di altri»

Dimesso il «Paziente zero» «Ma ora tornerò in Africa»

C'è stato un momento in cui Fabrizio Pulvirenti sembrava avere le ore contate, sopraffatto da una terribile malattia racchiusa in cinque lettere: ebola. Oggi invece dal suo sangue potrebbe addirittura essere ricavato un vaccino. Dopo 37 giorni, iniziati nella notte del 25 novembre con un volo speciale dell'Aeronautica Militare proveniente dalla Sierra Leone, il medico di Emergency, originario di Catania, è stato dimesso ieri dall'ospedale Spallanzani, completamente guarito dalla febbre emorragica che fino ad ora in Africa ha ucciso 7.842 persone. Il dottor Pulvirenti è apparso per la prima volta davanti alle telecamere, visibilmente dimagrito, con la barba lunga ma sorridente. Le sue prime parole in pubblico, accanto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin e a Cecilia Strada, oltre a tutti i medici che hanno lavorato per salvargli la vita, lasciano il segno: «Hanno fatto qualcosa di grande per me. Torno in Sicilia, ma presto andrò nuovamente in Sierra Leone. Devo prima riprendermi e poi valuterò di tornare in Africa anche se per un periodo limitato. Voglio completare il lavoro iniziato».

C'è orgoglio e coraggio in quel viso affilato dalla grave infermità. «Non mi aspettavo di essere ricordato nelle parole del presidente Napolitano, ma mi ha riempito di felicità». Pulvirenti parla della malattia e dei momenti bui: «Non ho pregato, anche perché non ne avrei avuto il tempo in quanto dopo pochi giorni ho perso coscienza. Non sono un eroe, ma semplicemente sono stato meno fortunato dei miei colleghi perché mi sono contagiato. Paura? Ne ho avuta tanta, ma sarebbe da folli non averne davanti a ebola».

Ha quindi parlato il ministro Lorenzin, sottolineando «la giornata di grande felicità per me e per tutti gli italiani. L'Italia comincia bene l'anno con un bella notizia e con la dimostrazione di ciò che siamo capaci di fare«. Ovvero mettere a punto qualcosa di simile a un farmaco che potrebbe in prospettiva futura debellare la malattia. «Il virus di Fabrizio Pulvirenti ha un nome ed è il vanto dei nostri virologi: si chiama Ebola Macona Inmi 1 ed è stato depositato al centro di riferimento biologico del governo americano», ha annunciato il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito, che poi ha aggiunto: «Insieme al Centro Nazionale Sangue, produrremo con il sangue di Fabrizio Pulvirenti una raccolta di plasma da convalescente da usare in Africa e per altri pazienti di ebola». Quando avrà raggiunto una quantità di anticorpi sufficienti, Pulvirenti tornerà a Roma per il prelievo di sangue da cui sarà ricavato il plasma che «sarà quindi congelato presso la nostra struttura, per poter essere utilizzato in casi di emergenza».

Sono stati 37 giorni difficili, alcuni addirittura drammatici. Poco dopo il ricovero le condizioni del paziente si erano aggravate, richiedendo addirittura il trasferimento nell'unità di rianimazione ad alto isolamento. Con le prime cure sperimentali sono iniziati i progressivi miglioramenti, i farmaci sperimentali sono stati ottenuti grazie ad una collaborazione internazionale che ha visto anche l'impegno di una speciale unità dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta di quattro farmaci sperimentali, utilizzati per curare il dottor Pulvirenti. Nomi e procedure verranno resi noti a fine gennaio, in concertazione con l'Oms. Sono 24 le persone contagiate dal virus Ebola e trattate fuori dall'Africa, come il medico di Emergency dimesso ieri, di cui si ha notizia. Solo cinque pazienti sono morti, mentre due, un operatore francese e un'infermiera inglese che ha sviluppato i sintomi dopo il rientro, sono ancora in trattamento.

Migliaia i messaggi di auguri inviati al dottor Pulvirenti, anche attraverso la sua pagine Facebook.

Il 18 ottobre, partendo per la Sierra Leone, aveva scritto durante lo scalo a Istanbul: «Quelli che affrontano con coraggio le sfide della vita e le difficoltà, mostrano la propria faccia, sopportano il prezzo da pagare e servono con orgoglio la propria comunità, io li definisco uomini». Rileggere quella frase oggi, alla luce di quanto accaduto, mette quasi i brividi.

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