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Diritti umani, dazi e 5G "Lo scontro tra Usa e Cina può diventare una guerra"

L'ex segretario di Stato Kissinger vede nero: «Le due potenze devono dialogare. O saranno guai»

Diritti umani, dazi e 5G "Lo scontro tra Usa e Cina può diventare una guerra"

L a legge sulla difesa dei diritti umani e della democrazia a Hong Kong, approvata definitivamente ieri dal Congresso americano, sta per raggiungere la scrivania del presidente Trump per la firma che la renderà valida a tutti gli effetti. La definizione è abusata, ma in questo caso si tratta davvero di uno schiaffo in pieno viso al leader cinese Xi Jinping, che in questi mesi ha più volte minacciato l'uso delle maniere forti per ottenere la fine delle manifestazioni di protesta contro le politiche di Pechino nella ex colonia britannica. I toni della reazione cinese sono molto duri e c'è anche ragione di temere una ricaduta negativa sui negoziati sui dazi tra Pechino e Washington, che in teoria sarebbero avviati verso una stretta finale. E tale è il livello di tensione tra i due Paesi che la voce saggia e competente dell'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger si è levata per raccomandare alle potenze rivali il massimo sangue freddo: la fine infruttuosa dei negoziati sui dazi, ha detto il 96enne Kissinger che in passato più volte fu mediatore tra il suo Paese e la Cina, potrebbe addirittura sfociare in una guerra vera.

L'uomo che guidò la diplomazia americana negli anni cruciali della Guerra Fredda, ancora perfettamente «sul pezzo» nonostante l'età patriarcale, ha espresso i suoi timori durante il Bloomberg New Economy Forum. A suo avviso Pechino e Washington, di fatto obbligati a competere sugli stessi mercati, dovrebbero sforzarsi di «incanalare il conflitto sui dazi, altrimenti questo potrebbe rivelarsi peggiore di quello che esplose in Europa un secolo fa. La Prima Guerra Mondiale ha ricordato Kissinger cominciò per crisi minori di questa, e oggi le armi da guerra sono molto più potenti». Se Stati Uniti e Cina continuano a vedere ogni problema del mondo in termini di conflitto e se il dialogo sui dazi venisse meno, ha spiegato, verrebbe a mancare uno scambio anche sulla crisi di Hong Kong, e l'esito per la pace mondiale «potrebbe essere disastroso».

A questo punto è utile chiarire un punto. Il partito comunista al potere assoluto in Cina racconta ai suoi cittadini la rivolta di Hong Kong che è ancora in corso con gli ultimi 50 studenti asserragliati nel Politecnico e le strade in subbuglio - come un attacco fomentato dall'Occidente alla nazione cinese, e soprattutto alla sua sovranità e alle sue leggi. Per questo ripete che non tollererà che a Hong Kong venga messo in discussione «lo Stato di diritto»: presenta la Cina come uno Stato che ha a cuore la legalità, e allo stesso tempo dipinge gli Stati Uniti e la Gran Bretagna come i sovvertitori di questa legalità, in complicità con una presunta minoranza di sovversivi residenti a Hong Kong. Washington, invece, punta a porsi come protettrice di un livello più alto di diritti, quelli umani e democratici che il sistema dittatoriale cinese nega pur parlando di «Stato di diritto». E lo fa attraverso una legge che collega il rispetto di questi diritti universali al mantenimento dello status commerciale privilegiato a Hong Kong cui Xi Jinping tiene moltissimo: da qui la sua rabbiosa reazione.

In attesa di apporre la sua firma all'Hong Kong Human Rights and Democracy Act, ieri Trump si è recato in Texas in visita allo stabilimento della Apple e ha chiesto all'amministratore delegato Tim Cook «di vedere se possa impegnare Apple nella costruzione del 5G». Traduzione a uso degli elettori americani ma anche di Xi: voglio riportare in America una produzione strategica e posti di lavoro che sono finiti in Cina.

Chissà cosa ne pensa Kissinger.

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