"Disastro" per l'Appendino: l'accusa chiede il processo

Il sindaco di Torino rischia il giudizio per omicidio colposo per la tragica calca di piazza San Carlo

"Disastro" per l'Appendino: l'accusa chiede il processo

È il giorno in cui la giunta pentastellata di Torino ha perso la sua innocenza. Tre giugno 2017: la festa per la finale di Champions finisce in tragedia e Piazza San Carlo, il salotto della metropoli, si trasforma in un ospedale da campo: 1500 feriti in una bolgia indescrivibile, una ragazza, Erika Pioletti, morta dopo una penosa agonia, e una ferita per l'immagine della città che non si rimarginerà. Ora la procura, che ha indagato a testa bassa per un anno, presenta il conto a Chiara Appendino e ad altre 14 persone, chiedendo il processo con le accuse di lesioni, omicidio e disastro colposo.

Solo due anni fa la neosindaca, estrazione borghese e rassicurante, era il volto nuovo e carismatico dei grillini, l'alternativa efficiente e rampante a Virginia Raggi che a Roma inciampava in un guaio ad ogni passo. D'accordo, Virginia, alle prese con il caos di Roma capitale, zoppicava, ma Chiara volava.

Sì: Appendino seduceva le grandi famiglie sabaude con il suo sorriso smagliante e nello stesso tempo veniva acclamata dalle frange più estremiste dei Cinque stelle, forgiate nei caroselli No Tav della Val di Susa. Un equilibrio fragile e miracoloso.

La notte del 3 giugno distrugge quella cartolina, in un mix sconcertante di approssimazione e superficialità. L'evento fu preparato male e tutto andò per il verso storto: la folla ad un certo punto impazzi e cominciò a correre da una parte all'altra, travolgendo tutto e tutti. Purtroppo non c'erano vie di fuga, ma c'era invece a terra un tappeto di cocci di vetro: i resti delle bottigliette vendute a dispetto dei divieti.

Quelle immagini scioccanti hanno fatto il giro del mondo e hanno messo in crisi il modello che Torino si proponeva di essere, come motore del cambiamento. Per carità, ora i Cinque Stelle sono al governo, ma la discesa del capoluogo piemontese è andata avanti. Impietosa e inarrestabile. Paolo Giordana, capo di gabinetto e braccio destro della sindaca, è stato intercettato mentre al telefono cercava di far togliere la multa presa da un suo amico ed è stato costretto a dimettersi a razzo da ogni incarico. E poi c'è stata la vicenda Ream: i magheggi sui bilanci del Comune e la strana omissione di un debito di 5 milioni.

L'inchiesta su quel capitolo non glorioso di storia municipale è appena finita, Appendino rischia un'altra richiesta di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico e abuso d'ufficio, ma per ora la preoccupazione numero uno è Piazza San Carlo. L'udienza preliminare si terrà probabilmente a settembre, il processo, tecnico ma inevitabilmente politico, è alle porte, sulla carta le pene possono arrivare fino a 15 anni.

Con Appendino, sotto i riflettori dei pm, sono il solito Giordana, l'ex questore Angelo Sanna, il suo capo di gabinetto Michele Mollo, altre figure parte della macchina organizzativa. Intanto, dopo un lavoro sfibrante e capillare, la procura ha afferrato la causa dell'innesco di quel disastro: in piazza c'era una batteria di rapinatori armati di spray, marocchini di prima e seconda generazione, parte di una banda specializzata in colpi del genere.

Ora sono in carcere, tutta l'Italia è cambiata e i grandi avvenimenti, come i concerti, devono entrare nella

camicia di forza di prescrizioni minuziose. Ma la sindaca, con un'altra acrobazia delle sue, prova a riverniciare un appeal ormai sbiadito, lanciando la candidatura di Torino per le Olimpiadi del 2026. Chissà se basterà.

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