Il (dis)prezzo della libertà

Cento euro è il costo dell'impunità, l'obolo ridicolo con cui un No Vax può comprare il diritto di fregarsene delle regole

Il (dis)prezzo della libertà

Cento euro è il costo dell'impunità, l'obolo ridicolo con cui un No Vax può comprare il diritto di fregarsene delle regole. Cento euro è il (dis)prezzo della libertà. Ma cento euro è anche il prezzo che il Paese paga per l'indecisionismo di un governo che si sta perdendo per strada, distratto da fantastici panorami di potere. Un biglietto da cento euro è il certificato dell'entrata in coma dell'esecutivo Draghi. Se sia o meno reversibile, sta solo al paziente deciderlo.

La multa pro-forma per chi non si vaccina è solo l'ultimo sintomo della sopraggiunta paralisi politica, ma è forse il più rivelatore. Insensata nella sua erogazione «una tantum» mentre chi non si vaccina è un rischio ogni volta che esce di casa. E insultante - soprattutto per il personale medico in trincea - nella sua quantificazione: due contravvenzioni per divieto di sosta. Nel contesto di un mini-lockdown di fatto che vieta ai non vaccinati negozi, bar e vita sociale, suona come una presa in giro. Un'ipocrisia evitabile che ci si poteva aspettare da altri esecutivi più marpioni, non da quello di unità nazionale che ha trascinato l'Italia fuori dall'emergenza abbattendo i paletti messi dai partiti a colpi di pragmatismo.

Dunque, cosa è successo? Perché il premier, per cui anche questo Giornale ha speso elogi, si è impantanato e sforna decreti legge emergenziali di corto respiro e fuori sincrono con l'evolvere della pandemia? Perché il tardivo obbligo per i soli over 50 che gli scienziati definiscono inutile e pasticciato e non l'obbligo generale prima che i buoi scappassero?
La risposta ha due facce. Da un lato i partiti che sempre divorano i premier «salvatori». Non è un segreto che Lega e M5s osteggino l'obbligo per ragioni elettorali, ma in passato le pressioni avevano lasciato il tempo che trovavano, ululati per segnare il territorio. Tanto che il Carroccio anti-super green pass, messo davanti all'aut aut, lo aveva votato. Dall'altro lato c'è il premier Draghi, che finora aveva pesato immensamente più delle singole anime della maggioranza: provvedimenti efficaci e puntuali (riaperture, vaccini, ristori...), coesione con le Regioni, niente piccolo cabotaggio. Per questo il Paese moderato gli ha dato fiducia. Oggi invece qualcosa sembra essersi rotto, dopo le sue parole quasi di commiato sul governo che può proseguire anche senza di lui. L'impressione è che sia più rassegnato al compromesso politico e dunque meno forte, più sfidabile. Prova ne sono gli scontri di ieri su scuola e calcio, preoccupanti segnali di tensione e tenuta.

Che questa fase difficile del suo governo sia dovuta alla tattica di Draghi di non inimicarsi nessuno in vista di una sua elezione al Colle, all'aumentata insofferenza dei partiti nei confronti della sua figura ingombrante o all'irritazione dell'ex Bce nei confronti dei loro giochetti, poco conta. Nessuno chiede un tiranno che annienti Parlamento e dialettica, ma in emergenza un premier inerme bloccato dalle ganasce di opposte aspirazioni non serve a nulla.

E rischia di finire stritolato dagli ingranaggi di Palazzo insieme al Paese che ha creduto in lui. Noi siamo convinti che non sia troppo tardi per risvegliarsi dal coma e allontanare i sospetti di dismissione. Talmente convinti da puntarci cento euro. Una tantum, però.

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