Cronache

La diva del cinema russo e il top gun americano tra gulag, fuoco e segreti

Lei era una spia, lui un uomo bellissimo. Tra i due fu colpo di fulmine. Ma qualcuno li scoprì

La diva del cinema russo e il top gun americano tra gulag, fuoco e segreti

Aveva bussato e suonato più e più volte a casa della zia, sulla Kutuzovsky Prospektma, ma nessuno aveva aperto. Strano, perchè aveva appuntamento e zia non era tipo da tollerare ritardi o sparire senza dire niente. Preoccupato, il nipote era rientrato a casa propria per prendere le chiavi di riserva e, insieme alla moglie, era tornato. Zia era in soggiorno, seduta come sempre davanti alla finestra. Con un foro orribile sulla nuca: una pallottola, una sola, sparata a bruciapelo da distanza ravvicinata. Uccisa senza un perchè o forse per troppi perchè. Zia non è una donna qualunque: è Zoya Fedorova, la Rita Hayworth del cinema sovietico, vincitrice di due premi Stalin, l'Oscar comunista, amata e venerata dal popolo e dai gerarchi rossi. Doveva partire a giorni per gli Stati Uniti per andare a trovare Victoria, la figlia, emigrata a Boston, decisa a non tornare più. Ma il Kgb non poteva lasciar partire per sempre verso uno Stato nemico uno dei suoi agenti segreti. Sui giornali neanche una notizia, la seppelliscono nel cimitero di Vagankovskoye. Quarant'anni dopo nessuno sa ancora chi le abbia sparato.

Una donna difficile

Bella è impossibile Zoya è nata a San Pietroburgo, terza, e più giovane, di tre sorelle. Il papà metalmeccanico, rapito dalle idee della rivoluzione del Diciassette, si era costruito, com'era abituato in officina, una carriera solida come l'acciaio nel partito bolscevico. É fedele, zelante, tutto d'un pezzo. Lo promuovono quasi subito capo del servizio passaporti del Cremlino, nella Camelot della Rivoluzione. Ma Mosca è una nuova vita soprattutto per le figlie: Zoya vuole fare l'attrice ma papà ha già deciso il suo futuro: un sollido impiego nelle assicurazioni statali. La sera però scappa per andare a ballare, qui conosce Kirill Prove, un ufficiale dell'esercito, e se ne innamora. Ma quando viene arrestato per spionaggio mettono in galera anche lei. Per un sospetto così si finisce in Siberia, Zoya invece torna a casa. Strano.

La ragazza ha una sua naturale durezza. Così nonostante l'ostilità di papà entra nella scuola del Teatro della Rivoluzione, la fabbrica delle dive. Cinque anni dopo è la star del cinema di regime. Come riesca a passare dalla Lubianka alla Hollywood comunista resta un mistero. Si legge sui Fratelli Karamazov: «La donna russa, il diavolo solo sa cos'è; io non ci capisco nulla». Parola di Dostoevskij.

La invitano spesso al Cremlino, Lavrentij Pavlovi Berija, il sanguinario capo dei servizi segreti, l'Himmler sovietico con la faccia da impiegato, è un suo appassionato ammiratore. Una sera la invita nella sua villa, la riceve in pigiama e dopo un bicchiere di champagne, ci prova. «La Russia è il paese dove le donne vi offrono immediatamente la bocca» scriveva Casanova. Ma non è questo il caso. Il pettegolezzo, improbabile, sussurra che Zoya abbia insultato crudelmente l'uomo più temuto di Russia, lasciando sdegnosa la dacia: «Vecchia scimmia» avrebbe osato. Lui l'avrebbe rincorsa per strada con un mazzo di fiori. Ma non per farsi perdonare: «Sono da mettere sulla tua tomba».

Un'altra voce racconta una versione più credibile. Zoya è un agente segreto, uno dei pochi a poter contattare personalmente Berija. Il suo compito: entrare, letteralmente, nelle grazie dei diplomatici stranieri e farsi rivelare i loro segreti. Forse è l'amante di Berija, per questo è intoccabile. Quando arrestano suo padre che è convinto, lavorando con Lenin, di avere il diritto di parlare liberamente e mai bene dei papaveri del partito lei non viene nemmeno sfiorata. Lui si becca 10 anni di galera.

L'incontro fatale

Ma la Fedorova non è solo un'attrice famosa attrice e una spia: è anche una donna bella e appassionata. E quando, a un ricevimento, incrocia gli sguardi con un ufficiale della Marina americana alto e bellissimo dimentica completamente la missione che il Kgb le ha assegnato. Si chiama Jackson Tate, è il vice capo della sezione navale della missione militare americana, uno dei primi top gun, e finita la guerra è diventato vice ammiraglio. Tate invita Zoya al ristorante per il giorno dopo, lei dice subito si. Si amano da subito, anche se vivono in due mondi lontani e nemici. Lui è sconvolto dalla meravigliosa presenza di lei, lei è tenera, spregiudicato, sincera, ha conosciuto tante infamie e le confessa. E sullo sfondo della contrastata passione, i tormenti del popolo russo che ha ormai annegato nel sangue la stagione folle, generosa e crudele delle lotte e delle illusioni rivoluzionarie. Dividono il niente che hanno: le poche promesse, i pentimenti, le dure prove da affrontare in un plumbeo mondo dominato dalla paura. La loro soprattutto. E non sbagliano ad avere paura.

Due mesi dopo, un giorno di maggio, Zoya viene ingaggiata a sorpresa per un tour in Crimea. Quando torna a Mosca, Tate non c'è più: lo hanno dichiarato persona non grata e costretto a lasciare subito l'Unione Sovietica. Lei vive ore disperate consolata solo dalla certezza di avere una parte importante nella vita di Jackson. Lui le scrive ogni giorno, senza mai ricevere mai risposta, invia richieste ogni mese in Urss ma invano. Fino a quando, dopo anni, non riceve una lettera anonima. Dice che Zoya ha sposato un musicista, che ha due bambini e che deve smettere dei cercarla. É tutto vero, ma il bambino è uno solo, anzi una bambina. E quella bambina è figlia sua. Victoria, nata nel 1946, scoprirà solo negli anni Settanta chi è suo padre.

La notte che cambia tutto

Una notte bussano alla porta, insistenti, gridando. Si sa chi sono quelli che bussano aggressivi a un'ora così tarda. Gli agenti rossi con il cappotto di pelle non le consentirono neanche di salutare la figlia, che ha solo pochi mesi. La accusano di aver creato una cellula antisovietica, di attacchi sprezzanti contro il governo, di organizzare un attentato terroristico, di intelligenza con il nemico. Zoya, l'orgoglio del cinema sovietico, viene torturata per giorni nelle segrete di Lubjanka. Ha trentasette anni e non è l'eroina senza paura dei racconti di Shalamov o Solzhenitsyn. Confessa tutti i crimini di cui è stata accusata, anche se non ne ha commesso nessuno. Chiede aiuto a Berija ma invano. E in isolamento tenta il suicidio. Quando si sveglia nell'ospedale della prigione, massacrata di botte, le comunicano la sentenza: venticinque anni nei campi di concentramento e tutta la famiglia, compreso un bambino di un anno, sono accusati di spionaggio. La sorella, con la piccola Victoria imbocca la strada dell'esilio, uno zio si prende dieci anni. A liberarla, nel 1955, è un'amnistia. Cerca la figlia, la ritrova, l'ha vista solo appena nata. Victoria non sa che la donna che la abbraccia così appassionatamente è sua madre. E quando Zoya chiede: «Sai chi sono?». Lei risponde: «Certo. Sei mia zia...».

Finale a sorpresa

Victoria, come la madre, è diventata, un'attrice. Il regista che l'ha fa debuttare racconta che le ferite hanno lasciato nella sua anuma sensibile un'impronta indelebile e dolorosa. Alla fine degli anni Sessanta, Victoria riesce a partire per gli Stati Uniti e incontrare il padre. L'ammiraglio Jackson Tate muore nel 1978 senza rivedera più Zoya, ma con la felicità di una figlia ritrovata. Sognava di avere finalmente sua madre sempre con sè. Ma l'omicidio bruciò il suo sogno.

Si disse che Zoya fosse coinvolta negli affari della cosiddetta mafia del diamante, che non ci fosse solo il Kgb a volerla morta, ma il suo nome è nella lista delle vittime dello stalinismo. In un'intervista, Victoria Fedorova disse comunque di conoscere il nome dell'assassino.

È morta nel 2012, senza dirlo a nessuno.

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