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Djokovic a Roma, che smacco ai nostri bimbi

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Tutto è dimenticato. Neanche quanto successo solo un mese fa in Australia fosse stato solo un brutto film. Al centro c'è ancora Djokovic e il suo saliscendi No Vax, ma è la lezione di Melbourne che non ha insegnato nulla, se perfino qui da noi sembra di essere in un altro mondo. In due anni di pandemia lo sport è stato messo nel sottoscala delle priorità, e non stiamo parlando di quello ad lato livello. Stiamo parlando degli atleti che hanno visto come una colpa perfino una corsetta al parco. Stiamo parlando dei nostri bambini, spezzati nei loro sogni dalle porte chiuse dei centri sportivi. Stiamo parlando di qualcosa che ha minato la salute mentale e fisica di grandi e piccini, da quella corsa al lockdown che ha scatenato il virus dell'assenza. Ora, è vero, tutto sta finendo, ma non è finita. E qualcuno se l'è già dimenticato. Non è una questione, intendiamoci, di essere pro o contro il vaccino. Ognuno deve avere il diritto alla libertà, compreso quello di pagare le conseguenze delle sue scelte. «Essere liberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetta e valorizza la libertà degli altri»: lo diceva Nelson Mandela, andrebbe scritto su tutti i muri di questi tempi in cui qualcuno si sente più libero degli altri. Per esempio appunto Novak Djokovic, che forse solo adesso si è un po' reso conto che non esiste un diritto a infrangere le regole, anche se queste regole sono da cambiare. Lo si fa con la ragione, non con la forza. Lui, ancora ieri, a una tv serba, ha ribadito che non intende ancora vaccinarsi, anche se non esclude di poterlo fare. Ne ha il diritto, ma sa anche che le porte del tennis per lui resteranno chiuse. Con qualche piccola eccezione. Ed è qui che quanto successo in Australia - con le liti e le brutte figure in serie tra governi locali e federali, tra organizzatori e clan del giocatore - comincia a trovare spazio anche in Italia. Sottosegretario contro sottosegretario. Valentina Vezzali che d'improvviso s'interessa agli Internazionali d'Italia e dice che Djokovic è il benvenuto, non si sa in base a quale regola che ancora non c'è. «Non servirà il green pass rinforzato», forse voleva dare una notizia in anteprima. E il collega alla Salute Andrea Costa che ci tiene a ricordare che tutti sono uguali davanti alle norme, «soprattutto chi può dare il buon esempio». Insomma, per lui il numero uno del mondo quindi non può entrare. Segue, e seguirà - c'è da scommetterci - dibattito, con la Vezzali che ha già smentito se stessa a tempo di record.

Sarebbe bello che Novak Djokovic fosse a Roma a maggio, vorrebbe dire che potremo smetterla di dividere il mondo tra chi ha un QrCode oppure no. Ma nel frattempo ci sono migliaia e migliaia di persone che ancora attendono di tornare davvero allo sport e non hanno risposta. Almeno questo bisognerebbe ricordarselo.

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