Nomi e cognomi, relativi codici più o meno cifrati, la Guardia di finanza già li conosceva. Ben 7500 italiani, intestatari di ricchi conti correnti in Svizzera. Quelli di top manager, imprenditori, stilisti, professionisti vari e persino qualche «pinco pallino». Tutti finiti nel tritacarne mediatico più o meno a proposito, tra veri furbetti e presunti tali. Come ad esempio l'esponente democratico Pippo Civati, sbattuto in prima pagina per un conto da 7mila euro intestato al padre defunto ed uscito completamente pulito dalla vicenda.
Ma molti altri intestatari di quei depositi, da oggi tremeranno. La «lista Falciani»- dal nome di Hervè Falciani, il dipendente «arrabbiato» dell'istituto di credito che nel 2008 diffuse decina di migliaia di dati riservatissimi riguardo ai forzieri della Hsbc- adesso potrà essere utilizzata anche in Italia per snidare i furbetti dei paradisi fiscali. Lo ha sentenziato ieri la Cassazione, riaprendo così di fatto lo scandalo SwissLeaks, una «affaire» con numeri da capogiro: 100mila nomi da verificare in 200 Paesi per raccontare i retroscena di un tesoro che vale oltre 102 miliardi di dollari, soldi transitati su conti svizzeri fra il 2005 e il 2007.
Cifre e nomi finora rimasti nell'oblio a norma di legge. La Commissione tributaria di Milano aveva infatti detto no all'utilizzo della lista Falciani perché trafugata illegalmente. Due ricorsi dell'Agenzia delle Entrate, finiti sullo scranno della Suprema Corte, ribaltano la sentenza. Gli ermellini della Sesta sezione civile, con le sentenze nr° 8605 e 8606 della Cassazione, consentiranno ora di utilizzare quei dati poiché questo «non viola lo Statuto del contribuente, né i principi del giusto processo», e neppure entra «in rotta di collisione con il diritto fondamentale alla riservatezza, ma anzi risponde all'obiettivo cogente di realizzare una decisa lotta ai paradisi fiscali illecitamente costituiti all'estero». Non solo: «L'utilizzabilità della “lista”- sottolineano i giudici- discende dall'esigenza primaria ben rappresentata dall'articolo 53 della Costituzione, che si sostanzia nei doveri inderogabili di solidarietà, primo tra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva». Per questo, scrive la Cassazione, possono essere «usati nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l'eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco)».
«Spetterà quindi al giudice di merito - conclude la massima stilata dalla Sezione tributaria della Suprema Corte - in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente».Nell'elenco fornito sette anni fa agli inquirenti francesi figuravano come detto, quasi 7500 nomi di nostri connazionali. All'epoca titolari di risparmi, complessivamente pari a 7,5 miliardi di dollari.
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