«L'ho preso in braccio, mi sono sporto e l'ho lasciato cadere giù. Poi sono andato a mangiarmi una pizza». Mariano Cannio, il domestico di 38 anni accusato dell'omicidio del piccolo Samuele Gargiulo, precipitato nel vuoto venerdì dal terzo piano di un palazzo in Via Foria, nel quartiere Stella di Napoli, tra ammissioni e piccoli ritocchi, subito dopo la cattura aveva ammesso davanti alla polizia la sua colpevolezza. Una deposizione nebbiosa, derivata dai problemi psichici dell'uomo, che lavorava a ore per la famiglia della vittima e per altre del quartiere.
«A un tratto l'ho preso in braccio e sono uscito fuori al balcone... giunto all'esterno con il bambino tra le braccia mi sono sporto e ho lasciato cadere il piccolo - racconta nell'immediatezza del fermo - Ho immediatamente udito delle urla provenire dal basso e mi sono spaventato consapevole di essere la causa di quello che stava accadendo». E quando le forze dell'ordine sono arrivate sul luogo della tragedia, Cannio non c'era più. «Sono fuggito a casa e poi - ha detto - sono andato a mangiare una pizza nella Sanità, che non ricordo, poi ho fatto ritorno alla mia abitazione. Mi sono steso sul letto e ho iniziato a pensare a quello che era accaduto, dopo sono sceso e sono andato a un bar in via Duomo e ho preso un cappuccino e un cornetto, poi sono rientrato a casa». Ha rilasciato la stessa versione, ma con una significativa correzione, interrogato dal pm e assistito dal suo difensore d'ufficio. «Fuori al balcone, avendo sempre il piccolo in braccio, e appena uscito in prossimità della ringhiera, ho avuto un capogiro - si è corretto - Mi sono affacciato dal balcone mentre avevo il bambino in braccio perché udivo delle voci provenire da sotto a questo punto lasciavo cadere il bambino di sotto».
Ieri il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Valentina Gallo, ha convalidato il fermo e ha emesso nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare per omicidio volontario perché ha ravvisato il pericolo di fuga. Cannio, infatti, venerdì non era stato rintracciato nella sua abitazione, ma in un altro appartamento. Aveva finto di non essere in casa, ma gli investigatori lo avevano beffato, infilando una bolletta sotto la porta, che lui ingenuamente aveva recuperato.
Ma cosa abbia spinto il domestico a uccidere il bambino di nemmeno quattro anni resta da accertare. «Il movente del gesto, di estrema gravità, non può dirsi, allo stato, pienamente accertato», ha scritto il gip. Cannio, infatti, si è avvalso della facoltà di non rispondere. La famiglia di Samuele non sapeva che l'uomo fosse in cura presso il centro di igiene mentale di via Santa Maria Antesecula (Sanità) e che soffrisse di schizofrenia.
Ora è in cella. Il magistrato non crede, tra l'altro, che la morte del piccolo sia conseguenza involontaria del capogiro accusato dal domestico.
«Non si reputa verosimile - scrive il gip - che l'indagato avesse avvertito un malore di tale intensità della durata circoscritta all'istante in cui lasciava la presa del bimbo che aveva in braccio, facendolo precipitare nel vuoto ed essendosi dimostrato, invece, totalmente cosciente, nei momenti immediatamente precedenti e in quelli successivi al gesto, momenti che l'indagato ha descritto, infatti, con grande precisione. La ricostruzione complessiva della vicenda depone nel senso della volontarietà dell'azione posta in essere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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