George W. Bush? Non aveva un attimo libero sull'agenda. Barack Obama? Stava sveglio a leggere fino alle 2 di notte. Bill Clinton? Un ritardatario cronico, ma che lavorava dalle 9 fino a tarda sera. E Donald Trump? Una (nuova) fuga di notizie sull'organizzazione delle sue giornate ha confermato ciò che già si sapeva: il 45esimo presidente statunitense passa la maggior parte del suo tempo di fronte alla tv, su Twitter o al telefono. Ora, però, il cosiddetto executive time, etichetta coniata dall'ex capo di gabinetto John Kelly per classificare il tempo libero del suo «capo», si può quantificare. Se le tabelle ricevute e pubblicate dal sito Axios riportano il vero, è inquadrato come executive il 60% delle ore in cui Trump è operativo. La Casa Bianca non ha smentito, salvo dichiarare attraverso la portavoce Sarah Sanders che Trump «ha uno stile di leadership diverso da quello dei suoi predecessori e i risultati parlano da soli».
L'ex imprenditore, intendiamoci, non è un pigro. È cosa nota che si alzi all'alba e vada a dormire tardi. Il primo meeting della giornata, però, non è mai prima delle 11, a volte 11.30. E gli impegni istituzionali sono una percentuale minoritaria della routine quotidiana. I documenti trapelati tengono traccia degli ultimi tre mesi, da dopo il voto di metà mandato fino a oggi: su 503 ore di attività, 297 sono state dedicate al «tempo libero». Vero è che non tutto compare nelle tabelle: molte sono riunioni fissate all'ultimo momento, altre sono private e nemmeno lo staff ne è a conoscenza. A ottobre dell'anno scorso, quando erano già circolate indiscrezioni sul tema, Trump aveva detto di aver parlato al telefono con il presidente francese Emmanuel Macron e con il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte in quello che sui fogli veniva catalogato come executive time. Stessa cosa la settimana scorsa, quando Trump ha incontrato l'ex amministratore delegato della catena di fast-food Godfather's Pizza, Herman Cain, per la sua possibile nomina alla Federal Reserve, la Banca centrale americana. Restano però le proporzioni «senza precedenti» rispetto ai suoi predecessori, come ha commentato l'esperto Chris Whipple ad Axios. Soprattutto dato che, spiega Whipple, «per ogni presidente il bene più importante è il tempo, e Trump sta dando un nuovo significato al concetto di presidenza disorganizzata».
È proprio il confronto con il passato che rende la spaccatura così evidente. Non che tutti gli ultimi presidenti americani siano stati sempre ligi alle tabelle di marcia. Bill Clinton, soprattutto agli inizi del mandato, viene ricordato come indisciplinato e sempre in ritardo. Forse essendone consapevole, fissava il primo meeting della giornata alle 9, solitamente con il capo di gabinetto e poi con l'intelligence. Le due ore dopo il pranzo erano il momento dedicato a email e telefonate. Decisamente più inquadrati Bush Jr e Obama. Il primo aveva un'agenda serratissima e programmata con largo anticipo, che rispettava con grande puntualità. Sveglia alle 5.15, arrivava in ufficio alle 7 meno un quarto. La prima riunione? Alle 8.15. Fatta eccezione per qualche appuntamento sportivo, guardava raramente la tv e alle 21 era a letto con un libro. La giornata di Obama prevedeva in media sei riunioni tra le 9 e le 18, quando doveva essere tassativamente a casa per la cena con moglie e figlie. Tre sere a settimana erano dedicate a eventi istituzionali e all'incirca tre volte al mese viaggiava negli Usa.
«I programmi dei diversi presidenti riflettono in un certo modo le loro preferenze - diceva alcuni mesi fa al sito Politico Yuval Levin, ex collaboratore di George W. Bush -.
Ma la mancanza di organizzazione produce una mancanza di decisioni ordinate e di disciplina che può essere un problema vista la portata di questo lavoro». Trump sul caso non ha ancora twittato: forse la notizia non è ancora passata sul piccolo schermo.
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