Donatella suicida in cella. La lettera del giudice: "Avrei potuto fare di più"

La ragazza si toglie la vita con la bombola del gas. Le scuse del magistrato al funerale

Donatella suicida in cella. La lettera del giudice: "Avrei potuto fare di più"

Nell'anno più buio per i suicidi in carcere, con una sequenza di morti che appare inarrestabile nelle prigioni di tutta Italia, fa irruzione per la prima volta il mea culpa di un magistrato. La scena è una chiesa di Verona, dove l'altro ieri si celebra il funerale di una ragazza di ventisette anni. Si chiamava Donatella, aveva alle spalle una storia di piccoli furti e soprattutto di droga. Non avrebbe dovuto essere in prigione, ma in una comunità di recupero. Ma dalla comunità se n'era andata dopo due mesi.

L'avevano portata in carcere, nella casa circondariale di Verona Montorio, a scontare un anno di pena residua. Qui, senza che nessuno intervenisse per fermarla, l'altra sera ha scritto una commovente lettera d'addio al suo compagno. Poi si è attaccata alla bombola del gas da campeggio che nel 2022 è ancora l'unico strumento che in molte carceri si può utilizzare per farsi da mangiare. Donatella l'ha usato per evadere da tutto, nell'unico modo che in quel momento le è sembrato possibile. Quando sono intervenuti gli agenti era già morta.

Lunedì, nella chiesa di Castel d'Azzano dove si celebrava il funerale della ragazza, va sull'altare la sua amica Micaela. Legge la lettera che un giudice del tribunale di Sorveglianza di Verona ha scritto all'indomani della morte di Donatella. Il giudice si chiama Vincenzo Semeraro. Non si nasconde dietro le statistiche delle pratiche, dietro le solite lagne sulla mancanza di risorse della giustizia. Donatella per lui non era un numero. La conosceva bene da sei anni, da quando aveva iniziato a occuparsi di lei nel continuo andirivieni tra carcere e comunità. Dice: «So che avrei potuto fare di più per lei. Non so cosa, ma so che avrei potuto fare di più». Se i familiari della ragazza sono indignati, dice, non si può dare loro torto: «È ragionevole che chi era vicino a Donatella possa provare rabbia nei confronti delle istituzioni e di chi le rappresenta».

Quarantasette morti dall'inizio dell'anno, un record assoluto che dovrebbe costringere a porre domande sia sull'utilizzo del carcere preventivo sia sulla qualità della vita all'interno delle strutture penitenziarie. Solo all'indomani del suicidio di Donatella, l'8 agosto, dal ministero della Giustizia è stato reso noto l'avvio da parte del Dap, la amministrazione penitenziaria, di una serie di «linee guida» per la «prevenzione delle condotte suicidiarie delle persone detenute». Ma basta leggere le «linee guida» per capire che il loro impatto reale potrà avvenire solo su tempi lunghi. Mentre intanto la catena dei suicidi non si ferma. Poche ore dopo il funerale di Donatella, alla drammatica statistica deve aggiungersi il quarantottesimo nome del 2022, quello di un detenuto del carcere napoletano di Poggioreale: quarantotto anni, e anche lui come la ragazza veronese segnato da una lunga storia di droga.

Così, in attesa del prossimo suicidio, restano le parole d'addio scritte da Donatella al suo ragazzo Leo: «Ho paura di tutto, di perderti e non lo sopporterei. Perdonami amore mio, sii forte, ti amo e scusami»; e la lettera coraggiosa mandata dal suo giudice ai suoi parenti. Una lettera che il magistrato Semeraro spiega così: «Io le volevo bene davvero. Vorrei che la sua storia squarciasse un velo.

Non si parla mai di chi si toglie la vita in carcere, solo numeri. Vorrei che si rifletta sull'enorme numero di suicidi in carcere e sul sistema che non li impedisce. Le persone malate in carcere non ci devono stare, il carcere non cura la malattia».

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