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Fra le donne coperte dal velo che aiutano i jihadisti d'Italia

Non siamo in un covo del Jihad, ma a Scansano un centro della Maremma in provincia di Grosseto con 4300 abitanti. Ed una comunità albanese di un centinaio di anime

Fra le donne coperte dal velo che aiutano i jihadisti d'Italia

«Non ho niente da dire. Se vuoi sapere qualcosa vai in Siria» è il senso del battibecco con la donna coperta dal niqab fino ai piedi, che le lascia libero solo il volto. La sua famiglia ha ospitato lo scorso anno il nipote albanese, Aldo Kobuzi, marito di Maria Giulia Sergio convertita all'islam con il nome di Fatima, la prima jihadista italiana. Nel settembre scorso sono partiti entrambi verso la Siria per arruolarsi nel Califfato sfruttando una rete di volontari della guerra santa albanese.

Non siamo in un covo del Jihad, ma a Scansano un centro della Maremma in provincia di Grosseto con 4300 abitanti. Ed una comunità albanese di un centinaio di anime. Proprio ieri il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, è volato a Tirana per annunciare la formazione di squadre congiunte di polizia per contrastare il fenomeno del terrorismo. «I Balcani occidentali sono un'area che può essere considerata dai terroristi una zona importantissima di attraversamento per recarsi nei teatri di guerra - ha dichiarato Alfano - Dove si può immaginare che possano formarsi ed addestrarsi terroristi che vanno poi a combattere in Siria».

A Scansano la donna con il niqab marrone, tutti la chiamano Nila, camminava avanti e indietro parlando al telefono e salutando l'interlocutore all'islamica con salam al eikum (la pace sia con te) davanti a casa, in via 20 settembre. In un primo momento era disponibile e ha chiamato al cellulare il fratello, Coku Baki, che lavora a Grosseto. Quando hanno capito che sono un giornalista si sono chiusi a riccio. Il fratello farfugliava di non voler parlare e alla fine ha buttato giù il telefono. L'albanese velata, che ha sposato un arabo di Milano, diventando sempre più integralista è praticamente fuggita verso casa.

«Già da tre mesi circolava la voce che suo nipote fosse partito per la Siria con l'italiana convertita. In rete ci sono le foto dalla prima linea. Il cognato di Kobuzi aveva aderito ancora prima al Califfato ed è morto in combattimento» racconta una fonte della comunità albanese. «Questi sono matti. Kobuzi non salutava le donne perché è un integralista. Se sanno che parlo potrebbero ammazzarmi» spiega con un velo di paura nella voce.

Il marito della lady Jihad italiana viveva a Poggioferro, una frazione di Scansano, dove avrebbe portato anche Maria Giulia/Fatima per poi partire assieme verso la guerra santa. Per due volte lo zio ha certificato di averlo ospitato nel settembre 2012 e l'ottobre dell'anno dopo fino alla scorsa estate.

A Poggioferro ricordano il clan albanese con le donne velate sempre più integraliste. «Un giorno ho chiesto ad una di loro se la costringono, con il caldo estivo ad uscire coperta - racconta una signora italiana - E lei mi ha risposto secca: “È la nostra religione“. Devo dire che mi intimorivano».

Maria Giulia/Fatima, però, è un fantasma, che potrebbe essere arrivata dopo il matrimonio del 2013 per partire lo scorso settembre verso la Siria con il giovane marito albanese. L'antiterrorismo doveva tenerli d'occhio, ma i due sono andati a Roma acquistando un biglietto per la Turchia per poi unirsi allo Stato islamico in Siria.

Gli albanesi che si ritrovano al bar di Scansano, dopo aver lavorato nei campi, non parlano o fanno finta di niente. Dalla polizia municipale, il comandante, Carlo Poggioli, assicura «che gran parte della comunità è ben integrata. Sono poche unità quelle che hanno delle caratteristiche islamiche più marcate». Come la famiglia albanese che ha ospitato la coppia della guerra santa. Francesco Tenucci, consigliere comunale d'opposizione alla giunta di sinistra, osserva laconico: «Constatare che il nemico è alle porte di casa e la tranquillità in cui si è soliti vivere in provincia risulta apparente, suscita sempre maggior perplessità sul residuo di identità nazionale che l'Italia conserva».

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gliocchidellaguerra.it

 

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