Politica

Donne, macchine e potere. Tutte le vite dell'Avvocato

Fu patriarca e padrone, a Torino e in Italia. La morte lasciò un vuoto e una scia di segreti mai svelati

Donne, macchine e potere. Tutte le vite dell'Avvocato

Se ne parla, ancora. Se ne scrive, ancora. Non soltanto per i cento anni che avrebbe compiuto. Se ne parla ancora perché Giovanni Agnelli, detto Gianni, avrebbe alcune cose da dire sulla ditta che a lui, con il solito tono snob, garbava pronunciare, non con l'acronimo, ma per intero, Fabbrica Italiana Automobili Torino, quasi una sottile cantilena per spiegare mille cose, dunque l'azienda, dunque il Paese, dunque il prodotto, dunque la città. Quattro situazioni che sono il riassunto di un'epoca non soltanto di costa Azzurra e di belle donne. D'accordo, è stata anche quella per l'ultimo monarca repubblicano che, per lunghissimo tempo, ha rappresentato, non ufficialmente, il nostro Paese nel mondo, non certamente nelle funzioni previste dalla diplomazia e dalla politica ma per la capacità, l'astuzia, la vanità, l'eleganza e la facilità di presentarsi, dovunque, come simbolo di impresa, di fascino, di lingua e linguaggio universale, non riverito ma rispettato. Posso prevedere l'arringa dei vari piemme del giornalismo, e non, sui vizi privati e pubblici dell'Avvocato, sulla sua imperizia o latitanza imprenditoriale, sulle protezioni mediatiche, governative, statali di cui lui e la sua azienda hanno usufruito a spese dei cittadini. È un classico di questa nostra terra che sa iniettarsi veleno anche quando prende il sole e si concede una passeggiata in campagna. I cento anni di Gianni Agnelli sono una storia a prescindere ed è interessante farla conoscere per davvero, non soltanto in senso agiografico e celebrativo. Basta ritrovare quella pagina nella quale suo padre gli affibbiò non uno (quello era stato riservato alla sorella Susanna per un sei in pagella) ma due manrovesci, davanti all'austera figura del Duca d'Aosta, perché il ragazzino, aveva dieci anni, fermo lungo la pensilina della stazione ferroviaria di Torino, si era fatto prendere dall'eccitazione e dunque s'era distratto, come incantato, per l'apparizione di Federico Munerati, detto «Mune» ma soprattutto «Ricciolo» per l'ondame dei capelli, nerissimi e unti di brillantina. Munerati era l'ala destra della Juventus, per il gagnu di casa Agnelli, rappresentava la prima di cento, mille figurine e capricci della sua passione per il football. Le gote imporporate per le sberle vennero smaltite dai soliti riti di famiglia, il ragazzino era di testa fresca e allegra, non diligente al massimo a scuola, venne anche rimandato a settembre per cattiva condotta, anche maramaldo quando c'era da tirare scherzi ai compagni di studi, magari lanciando da un balcone la cartella con i libri, i quaderni e i portapenne, sparsi sul tetto di una filovia.

Venne pure rimandato a settembre per il voto in condotta. Un amarcord torinese, mentre il tifo per il football prendeva sempre più il giovane Gianni al quale piaceva un tipo come Renato Cesarini, titolare di un tabarin nel quale si esibiva, suonando il violino, un altro bianconero, Mumo Orsi, docente di tango e di dribbling. Quello era il tempo dei cinque scudetti consecutivi vinti da suo padre presidente del club, gli italiani abbisognavano di qualcosa che li tenesse non sempre con la testa al regime e alle noie quotidiane. La Juventus, e non la fabbrica, era il giocattolo di Gianni la cui vita, e non soltanto la sua, subì una svolta quando, aveva quattordici anni, suo padre Edoardo, morì tragicamente in un incidente sull'idrovolante che lo riportava a casa. La famiglia fu fortemente scossa dall'accaduto ma a inquietarla ulteriormente contribuì la storia dell'amore prima clandestino, poi ambiguo con l'apparizione dell'imprevedibile e bizzarro Curzio Malaparte, la cui relazione con donna Virginia, vedova, provocò le ire del nonno Giovanni, la tresca non era dignitosa, a Virginia venne tolta la patria potestà, i figli si ritrovarono smarriti, Gianni non condivideva le decisioni forti del nonno e non gradiva Malaparte, la famiglia venne spedita a Roma, poi in Costa Azzurra e una strana e mai chiarita corsa in auto portò via la madre a Gianni e, dopo, anche il nonno. Fotogrammi che inquadrano storie non sempre allegre e spavalde. Nel periodo della guerra il panorama non cambiò per gli Agnelli, villa a Beaulieu, vita dolce e dolce vita per lui avanguardista a cavallo, le lezioni di Franco Antonicelli, il precettore scelto dal nonno per educarlo a una esistenza meno frivola e più seria sugli argomenti sociali. Antonicelli era uso frequentare la dimora del giovin signore come se andasse a un matrimonio, il tight e il fiore all'occhiello fino al giorno in cui ritardò la lezione, essendo finito al gabbio, ovviamente per le idee antiregime. A Gianni fecero capire che meglio sarebbe stato partire per le Americhe, così fece a diciotto anni, dopo la maturità scolastica. Il viaggio fu una specie di luna park, il ritorno a casa significò, dopo le luci e i grattacieli di New York, come vivere in un borgo, c'era però la guerra e un altro tipo di partenza, nonostante il nonno avesse impedito, nei modi che si possono immaginare, che il ventenne dovesse andar soldato. E invece Gianni parti, in Russia, in seconda linea, in verità se la spassò pure nelle isbe, narravano che ballasse ignudo di fronte a ad altri militi attoniti, poi fu trasferito sul fronte in Tunisia mentre il nonno provava ad alzare la voce con ministri e autorità militari. Gianni resistette, gli piaceva l'azzardo, gli piaceva stare dovunque ma Torino e la Fiat lo chiamavano su un'altra trincea: entrò a far parte del consiglio di amministrazione dell'azienda. Altri asterichi di cronaca: la vita è bella e Gianni, accompagnato da Susanna, se ne va a Roma, a bordo di una Topolino. L'incidente, a Laterina, dalle parti di Arezzo, è scomparso dagli archivi come altri avvenimenti drammatici della famiglia (il suicidio del fratello Giorgio, su tutti, l'altro suicidio misterioso del figlio Edoardo). Gianni esce dalla piccola vettura e ha una caviglia distrutta. Ma è un altro incidente automobilistico, a cambiare il futuro: il ventidue agosto del Cinquantadue, mentre e a bordo di una Fiat spider con a fianco una diciassettenne francese, Anne-Marie d'Eistainville, all'uscita del tunnel di Cap Roux, va a sbattere contro un furgone Lancia, «irrobustito» da quattro macellai che andavano al lavoro mattutino. Erano le 4 e 10, terribile l'impatto tra le due vetture, due morti nel furgone, i giornali riportarono la notizia senza citare il nome degli occupanti la Fiat, gravi le conseguenze dello scontro, rischio di amputazione di una gamba, lunga convalescenza, Gianni Agnelli si sposò appoggiato a due nobili bastoni, volle evitare le proletarie stampelle, diventerà anche questo un simbolo, quasi un segno distintivo, nella postura e nell'andatura, della sua eleganza. Il matrimonio con Marella non lo distolse dai piaceri, inutile sfogliare l'album di conquiste, perduti i genitori e il nonno, Agnelli lasciò a Valletta la guida della Fiat, l'alibi gli servì per dedicarsi a quello che venne definito il jet set. Anche in questo caso fotografie e filmati lo ritraggono tra personaggi illustri del mondo internazionale della politica, della finanza, dell'arte, dello spettacolo. Donne, soprattutto donne. L'età matura non cambiò affatto le sue abitudini, potevi immaginare ma poi venivi a sapere che, all'alba in elicottero, avesse raggiunto Capri per un bagno nella Grotta azzurra, quindi trasferirsi al Sestriere per una discesa sugli sci, per passare dallo stadio Comunale di Torino, assistere a una partita della Juventus, quindi volare a Parigi per una serata vivace di cibo e champagne. Mai avrebbe immaginato, ma di sicuro avrebbe goduto, dei nove scudetti consecutivi e dell'arrivo di Cristiano Ronaldo, non altrettanto delle malinconie di coppa e del bilancio contabile pesante. Per Gianni Agnelli la Juventus era passione, piacere e «qualcosa per la domenica». Aveva voglia di fare tutto e di farlo dovunque e comunque, una bulimia esistenziale che gli era consentita dal patrimonio illimitato e dai privilegi quasi esclusivi rispetto ai suoi parenti, molti dei quali invece oggetto di scandali e derisione, di indagini e denunce. Vasto è il repertorio di frasi e aforismi, parole con le quali si divertiva assai, già sapendo di essere citato per queste, la vanità era il suo abito su misura, s'atteggiava serioso nelle fotografie, anche quelle bellissime scattate da Priscilla Rattazzi. La morte di Edoardo, il suicidio dal ponte di Fossano, fu l'ultimo passo drammatico della sua esistenza divertita. Bianchissimo nel volto come nei capelli, appoggiato al bastone e al questore di Torino, volle scendere sul greto del torrente per riconoscere un corpo e una vita finita. La storia della Fiat era intanto cambiata, lentamente, inesorabilmente. Quella che era «la feroce» il nome dato dai lavoratori alla fabbrica, quello che era risula come veniva dagli stessi chiamato l'Avvocato e così il suo giornale ribattezzato la bisiarda (la bugiarda), erano ormai memorie datate. Venuto meno Valletta, gli altri dirigenti, da Gaudenzio Bono a Umberto Agnelli, da Tufarelli a Romiti, da De Benedetti a Cantarella, a Galateri, a Barberis, a Morchio, a Fresco, tutti hanno dovuto fare comunque i conti con l'ombra del patriarca che mai ha imposto la cultura del padrone e del possessore proprietario, semmai quello di conservare la tradizione, nonostante i tempi fossero cambiati drammaticamente per il mondo dell'automobile e la Fabbrica Italiana Automobili Torino non avesse più un impero alle proprie dipendenze e offrisse un prodotto nemmeno di altissimo censo. Sergio Marchionne, indicato dal fratello Umberto, è stato il primo a diventare il capo senza aver conosciuto e frequentato l'Avvocato che la malattia aveva reso quasi cieco del tutto ma comunque lucido e desideroso di dare consigli, idee. Eppure sarebbe stato questo incontro, tra uomini non soltanto di impresa, ad incuriosire Gianni Agnelli: la presidenza di John Elkann, da lui stesso indicato, dopo la scomparsa tragica di Giovanni Alberto, la nascita di Fca, quella di Stellantis, insegne nuovissime e diverse, dietro le quali si nascondono realtà finanziarie lontanissime dall'altra epoca. Paradossalmente si portano appresso quello stesso nome, la stessa storia, il vuoto storico lasciato da un uomo che ha segnato un'epoca irripetibile, per la sua famiglia, per la sua azienda, per il nostro Paese, un secolo che, al di là delle celebrazioni, non è stato raccontato e svelato davvero.

Mai.

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