Il governo spera che i conti si facciano tra un anno, cioè alla fine del 2019. Secondo l'esecutivo i dati su crescita e conti pubblici gli daranno ragione e a Bruxelles non resterà che cambiare rotta. Peccato che l'Europa abbia scelto una via un po' più veloce per la procedura di infrazione contro l'Italia. Un percorso sicuramente complesso e fitto di ostacoli, ma al termine del quale l'Italia potrebbe essere obbligata a pagare un conto da 60 miliardi di euro.
La procedura non sarà sui conti del 2019 ma - come anticipato già dopo i primi no della Ue - su quelli del 2017, gli unici sui quali si possa dare un giudizio a consuntivo. La procedura sarebbe per debito eccessivo, ma a farla scattare è il mancato rispetto dei patti sul deficit programmato per il 2019.
Ieri la Commissione lo ha spiegato in questi termini: «Il criterio del debito stabilito dal trattato e dal regolamento 1467/1997 dovrebbe essere considerato non soddisfatto» e quindi è «giustificata una procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito».
L'Italia rischia la famosa multa dello 0,2% del Pil (un deposito infruttifero), in prospettiva il blocco dei fondi europei (ipotesi molto remota). Ma alla fine potrebbe essere obbligata a pagare un prezzo molto più alto, quello stabilito dalle ultime riforme della governance. Dal 2015, chi ha un debito superiore al 60% del Pil (l'Italia viaggia su una percentuale doppia) deve ridurlo ad un ritmo che arriva fino al 5% all'anno. L'Italia non ha mai rispettato questa regola, ma se l'è sempre cavata riducendo il deficit secondo i dettami dell'Europa. Ora che il governo guidato da Giuseppe Conte ha infranto la regola del disavanzo, interrompendo un percorso verso il pareggio di bilancio, ci potrebbero richiedere di rientrare del debito. Forse di un anno quindi una cura da 20 miliardi di euro, ma non è escluso che ci si presenti il conto per tre anni, quindi più di 60 miliardi di euro.
Le tappe sono stabilite dai trattati. Ieri la Commissione ha definitivamente bocciato il Documento programmatico di bilancio nella versione inviata dal ministro dell'Economia Giovanni Tria dopo la prima bocciatura. Giudizio negativo sul deficit nominale al 2,4% e su quello strutturale (al netto della componente ciclica e delle misure una tantum) a 0,4%, contro un surplus dello 0,6% concordato dal governo Gentiloni. Una «violazione particolarmente grave rispetto alle raccomandazioni», spiega la Commissione.
Entro due settimane il Comitato economico e finanziario del Consiglio europeo - quindi un organismo nel quale sono rappresentati gli stati membri dell'area Euro, tutti a favore della linea dura contro l'Italia - si pronuncerà sulla decisione di ieri. Poi la stessa Commissione chiederà all'Ecofin (che riunisce i ministri economici dell'Unione europea) di pronunciarsi sulla raccomandazione per il percorso di rientro dell'Italia. Avverrà con tutta probabilità alla riunione già programmata del 22 gennaio. La procedura deve essere avviata entro il primo febbraio. Dopo due settimane potrebbe scattare la sanzione del deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil, che poi diventa una multa irrecuperabile, nel caso di mancanza di risposte da parte dell'Italia.
La trattativa durante queste tappe non
si interromperà. Nella Commissione c'è chi, a partire dal presidente Jean Claude Juncker, vuole diluire i tempi delle eventuali sanzioni per lasciare il tempo al ministri Tria di convincere Lega e M5S a concedere qualcosa.
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