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Draghi ci spera ancora: si aggrappa a Berlusconi e al fronte del Nord di una Lega sfilacciata

L'attivismo del premier che chiama il Cavaliere e poi "invita" Tajani. Carroccio diviso: i governatori bocciano Cassese e guardano al bis

Draghi ci spera ancora: si aggrappa a Berlusconi e al fronte del Nord di una Lega sfilacciata

A un passo dal caos. Il giorno della quarta votazione - la prima con il quorum a 505 - a Montecitorio regna sovrana l'incertezza. E nessuno, neanche chi ricopre ruoli di peso come ministri e capigruppo di maggioranza, si sono fatti davvero un'idea di dove stia andando a finire la trattativa sul Colle. Non a caso, si bruciano nomi nell'arco di una mattina. Basta chiedere a Casini, che mercoledì sera sembrava vicino al traguardo e solo dodici ore dopo era già dato per azzoppato, vittima del fuoco incrociato della Meloni e del fronte del Nord della Lega. Soprattutto, va prendendo piede una sensazione di smarrimento, rafforzata da una quasi totale assenza di comunicazione tra centrodestra e centrosinistra. La fotografia dell'impasse la danno i governatori Toti e Zaia quando - in tarda mattina - s'incrociano a pochi passi dall'ingresso di Montecitorio. «Se non si chiude in 24 ore - dice il primo - io me ne torno in Liguria, dove ho molto lavoro che mi aspetta. Mi chiamino quando hanno deciso...». Il secondo tace, ma si lascia scappare un sorriso e, forse, un cenno di assenso con la testa.


È in questo navigare a vista che si inizia a perdere la bussola di un'elezione presidenziale che sembra tenersi non in Parlamento ma sulle montagne russe. Con vertici posticipati più volte, rose di nomi che filtrano - Cassese, Frattini, ma anche Massolo e, forse, di nuovo Casini - e poi vengono smentite. E con il centrodestra dove il confronto si consuma in modo piuttosto articolato. Mentre Salvini incontra avvocati e docenti universitari in cerca di un buon consiglio, Forza Italia inizia infatti a muoversi in autonomia. Con Meloni sempre più sganciata dagli alleati. D'altra parte, Fdi è l'unico partito di centrodestra che vorrebbe Draghi al Quirinale, senza considerare che il rapporto umano e personale tra Meloni e Salvini è ormai ai minimi termini. Parlare di diffidenza, per capirci, è un eufemismo. Un quadro complicato dalla fronda interna in Lega, dove Giorgetti e i governatori del Nord iniziano a non nascondere il malumore per come Salvini sta gestendo la partita. Loro continuano a puntare su Draghi, hanno perfino fatto arrivare delle ambasciate a Palazzo Chigi, sollecitando il premier a farsi «parte attiva» di un confronto con il leader leghista. Ma iniziano a non crederci più molto neanche loro, tanto che guardano anche allo scenario del Mattarella bis. Di certo non Cassese, un nome che in Lega ha creato un solco con la vecchia guardia. Non solo per le prese di posizione anti-Carroccio che negli anni passati ha tenuto il giudice emerito della Consulta, ma soprattutto per la sua netta contrarietà all'autonomia regionale che ha più volte bollato come «secessionismo». Con buona pace di Bossi.

Ed è proprio saldandosi a Giorgetti e al fronte del Nord del Carroccio che Draghi sta provando a restare in campo. Ieri ha passato la giornata a Palazzo Chigi, sentendo al telefono buona parte dei leader di partito. Alcuni li ha anche incontrati. E il fatto che si sia assentato per due ore proprio quando si sono perse le tracce di Conte fa supporre che ci possa essere stato un faccia a faccia tra i due (che non si sono mai presi e che non si amano affatto).

Un Draghi, dunque, che ha ormai piena consapevolezza del fatto che per arrivare al Colle è necessario «sporcarsi le mani» con la politica. Tanto che ha riprovato a mettersi in contatto telefonico con Berlusconi e, finalmente, ha avuto risposta. Un colloquio cordiale, fanno sapere da ambienti vicini al Cav. Al quale è seguito una telefonata di Draghi a Tajani, che poi si è presentato a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con il premier. Un incontro «di cortesia», giurano dall'entourage del coordinatore di Forza Italia, ribadendo che l'ex Bce deve «restare alla guida del governo». Un modo per confermare che Berlusconi continua a non vedere di buon occhio un trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Colle.

Un veto, però, che dalle parti del premier non vedono come definitivo. Il colloquio telefonico di ieri, infatti, viene interpretato come un segnale di distensione. E la speranza di Palazzo Chigi è che, alla fine, Berlusconi possa essere il jolly che sblocca l'impasse. Se il leader di Forza Italia dicesse una sola parola a favore dell'ex Bce, infatti, si salderebbe l'asse con Fdi e il fronte del Nord della Lega. E Draghi sarebbe a un passo dal Quirinale. Se invece il Cav resterà sulle sue posizioni, lo scenario di un Mattarella bis continua ad essere una delle soluzioni più possibile. Ieri ha preso 166 preferenze, oggi - se il centrodestra non si asterrà - in molti ipotizzano possa arrivare a quota 300.

Un segnale non di poco conto.

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