Guerra in Ucraina

Draghi non arretra. "Nessuno di noi abbandona Kiev. Vogliamo evitare che diventi schiava"

Che i rapporti tra Italia e Russia siano ai minimi storici non è certo notizia di queste ore. Ma la replica di Mario Draghi alle parole del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è di una durezza senza precedenti

Draghi non arretra. "Nessuno di noi abbandona Kiev. Vogliamo evitare che diventi schiava"

Che i rapporti tra Italia e Russia siano ai minimi storici non è certo notizia di queste ore. Ma la replica di Mario Draghi alle parole del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è di una durezza senza precedenti. Sia per i toni che per i modi, visto che l'ex Bce affonda il colpo in conferenza stampa, a favore di taccuini e soprattutto telecamere. La premessa è che «l'Italia è un Paese dove c'è libertà di stampa e di espressione», mentre «Lavrov fa parte di un Paese dove non c'è» questa libertà. Quindi, spiega il premier, «la televisione trasmette liberamente queste opinioni». Ma, aggiunge, quello di Lavrov «è stato un comizio», «un'intervista senza alcun contraddittorio». Nel merito di quanto detto il ministro russo, invece, Draghi è categorico. Le sue sono «opinioni false e aberranti». E «la parte riferita a Hitler è davvero oscena».

Una posizione, dunque, che lascia pochi dubbi. D'altra parte, è dall'inizio del conflitto che il premier ha tenuto una linea di estremo rigore, ben lontana da quella morbidezza che ha caratterizzato negli anni la diplomazia italiana, molto malleabile - per dire - anche rispetto alle sanzioni contro Mosca volute dall'Ue a partire dal 2014 (dopo l'annessione della Crimea). Certamente, rispetto ai due governi Conte il cambio di passo è stato netto. Tanto che, scrive il Financial Times, «il nuovo approccio dell'Italia rispetto alla Russia segna uno dei più grandi cambiamenti di politica estera in Europa».

Questo non vuol dire, come ha ribadito ieri, che l'Italia non persegua la pace. «Nessuno di noi vuole la guerra, nessuno vuole un'escalation. Ma nessuno di noi vuole abbandonare l'Ucraina», assicura. Argomenti che farà suoi anche nel faccia a faccia che avrà la prossima settimana con Joe Biden alla Casa Bianca, dice respingendo le critiche di chi vede l'Italia troppo schiacciata sulla linea degli Stati Uniti. «Non c'è nessun appiattimento», aggiunge. Ma «l'Ucraina può avere la pace solo se si difende». Se «abbandoniamo i civili, i bambini e le donne all'invasione russa», allora «avremo solo sottomissione e schiavitù di un Paese democratico e sovrano». E a chi lo accusa di essere troppo filo americano e poco sensibile alle ragioni dell'Europa, una riposta Draghi la darà proprio questa mattina, nel suo primo intervento davanti al Parlamento europeo riunito a Strasburgo in seduta plenaria. Il premier, infatti, farà l'elogio dell'europeismo e disegnerà la sua idea di come dovrà essere l'Ue di domani. E lo farà proprio auspicando un «ruolo centrale» dell'Unione nella soluzione del conflitto in Ucraina e guardando a quelli che dovrebbero essere i cambiamenti istituzionali a livello comunitario per metterci in condizione di affrontare crisi come quella in corso. Sostegno, quindi, sia alla difesa comune che all'indipendenza energetica.

Resta sullo sfondo, invece, il nodo dell'invio di nuove armi a Kiev. Si sta infatti lavorando a un terzo decreto interministeriale per destinare ulteriori rifornimenti bellici all'Ucraina e Giuseppe Conte continua a giocare sul filo dell'equivoco per strizzare l'occhio a chi non condivide la linea fin qui scelta da Ue e Nato. Il leader del M5s, infatti, finge di non sapere che il voto in Parlamento del primo marzo - quando le Camere si espressero a larghissima maggioranza - dà piena copertura politica e giuridica al governo fino al 31 dicembre 2022. E continua a porre la questione della «tipologia di armi» da inviare, sollecitando un nuovo passaggio in Parlamento di Draghi. Che, sul punto specifico, anche ieri ha evitato di fare polemica, convinto che la linea di Conte sia «pretestuosa» e deciso a non farsi trascinare in un «dibattito strumentale». D'altra parte, il Movimento è ormai entrato in modalità-campagna elettorale, al punto che ieri ha pure deciso di non partecipare al voto in Consiglio dei ministri sul Dl aiuti. Il premier, però, ha scelto sostanzialmente di glissare: «Noi siamo un Paese democratico e ci sono tante posizioni, ma non è in discussione la lealtà degli alleati».

E poi ha aggiunto che il nuovo decreto interministeriale che prevede l'invio di nuove armi è ormai in arrivo.

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