La Bce non resta con le mani in mano e, di fronte alle incognite politiche che gravano sull'eurozona, sfida la Germania e decide di estendere fino alla fine del 2017 il programma di acquisto titoli, tagliandone da 80 a 60 miliardi di euro il volume mensile a partire dall'aprile prossimo. Si tratta di un cambio di rotta non marginale, della rottura di un meccanismo consolidato da mesi, ma inevitabile. La nuova calibrazione delle misure, accompagnate da tassi invariati e dalla novità dell'inclusione nel basket Eurotower anche dei bond con rendimenti sotto il -0,40% e durata di un anno, «riflette la ripresa moderata ma in accelerazione dell'economia dell'area dell'euro e pressioni inflative di base ancora limitate», ha spiegato Mario Draghi nella conferenza stampa di ieri.
Francoforte ha alzato la stima di crescita per il 2017, portandola dall'1,6% previsto in settembre all'1,7% e confermata quella per il 2018 all'1,6%, lo stesso ritmo che sarà tenuto nel 2019. Quanto ai prezzi al consumo, l'anno prossimo è stimato in aumento dell'1,3% (+1,2% nell'outlook di settembre) mentre per il 2018 è previsto un leggero calo all'1,5% rispetto alla previsione precedente (+1,6%). Ma queste cifre spiegano solo parzialmente i motivi alla base di una rimodulazione del quantitative easing che qualcuno ha già ribattezzato il «tapering della colomba», cioè una sorta di alleggerimento morbido rispetto al peso che la Bce dovrà sopportare fino a marzo 2017. Draghi non vuole però sentir parlare di tapering: si tratta di «un processo - ha precisato - per cui gli acquisti vanno gradualmente verso zero, e questo non è stato discusso». In realtà, due conti elementari sono sufficienti per capire che lo sforzo sarà superiore: i nove mesi supplementari di durata del Qe garantiranno acquisti per complessivi 540 miliardi contro i 480 che sarebbero stati assicurati mantenendo gli 80 miliardi ancora in vigore, ma allungando il piano di soli sei mesi.
È una soluzione comunque di compromesso, meno potente rispetto ad altre ipotesi sul tavolo, che tiene conto delle diverse anime all'interno della banca centrale. Il restyling è stato infatti «votato a larga maggioranza», ha fatto sapere Draghi. Il mancato consenso unanime riflette le divisioni sugli orientamenti di politica monetaria. La Germania, che stima un avvicinamento in tempi rapidi dell'inflazione al target del 2% della Bce, chiede da tempo di procedere con il ritiro graduale delle misure non convenzionali. E così ha fatto ieri, votando «no» alla ricalibratura del Qe. Lo scontro che pareva sopito tra Jens Wiedmann, capo della Bundesbank, e Draghi riesplode dunque con fragore. E non è impossibile ricondurre la ripresa delle ostilità con quanto sta accadendo in Italia in seguito al voto referendario. Nonostante Draghi, come ha ripetuto anche ieri, continui a insistere che la politica della Bce non favorisce nessun Paese in particolare, a Berlino la pensano diversamente. E c'è chi, come il numero uno dell'istituto economico Ifo, Clemens Fuest, è convinto che il nostro Paese sia ormai un piombo per Eurolandia: «Se Roma esce ci sarebbe una crisi finanziaria, ma sarebbe meglio di una stagnazione duratura in Italia o di una dipendenza continua dell'Italia da trasferimenti che i contribuenti di altri Stati membri dell'unione monetaria dovrebbero pagare».
All'interno del board prevale però ancora la linea di chi considera prematuro scaricare il bazooka. E il motivo è più che valido: le possibili ricadute economiche che potrebbero derivare dall'incertezza politica. Non a caso Draghi ha citato l'affollato calendario elettorale del 2017; non a caso ha fatto riferimento al «grande impatto nel mondo» della Brexit, della vittoria di Trump e del referendum costituzionale in Italia. È vero, finora i mercati hanno assorbito con disinvoltura tutti i potenziali choc (Milano ha guadagnato ieri un altro 1,4%, con lo spread scivolato a 148 punti e l'euro sotto 1,07 dollari), ma buona parte del merito è proprio lo scudo offerto dall'Eurotower.
Quindi, di fronte alla «grande incertezza, la maggior parte della quale è politica, quello che la Bce deve fare è tenere la mano ferma e, quindi, continuare con politiche monetarie accomodanti necessarie per
raggiungere i nostri obiettivi», ha detto l'ex governatore di Bankitalia. Ecco perché Draghi si tiene le mani libere. Se dovesse grandinare, aprirà l'ombrello: ancora più acquisti e piano più lungo. Con buona pace di Berlino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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