Draghi si prepara alla "verifica" con i partiti in Aula. Il Colle in ansia invoca stabilità

Tutti appesi a Giuseppe Conte. Come ai vecchi tempi della pandemia, quando l'Italia intera era seduta ad aspettare sul divano le conferenze stampa in prima o seconda serata dell'allora presidente del Consiglio

Draghi si prepara alla "verifica" con i partiti in Aula. Il Colle in ansia invoca stabilità

Tutti appesi a Giuseppe Conte. Come ai vecchi tempi della pandemia, quando l'Italia intera era seduta ad aspettare sul divano le conferenze stampa in prima o seconda serata dell'allora presidente del Consiglio. Ieri è toccato a Quirinale e Palazzo Chigi mettersi comodi in attesa dell'assemblea congiunta dei gruppi parlamentari M5s. Che era inizialmente prevista per le otto di sera e poi - per non essere da meno rispetto ai giorni del lockdown - è slittata prima alle nove e poi alle nove e mezzo e infine alle dieci. D'altra parte, mica facile per il leader del M5s tirare le fila di uno show down che personalmente - aveva assicurato ieri telefonicamente sia a Mario Draghi che a Sergio Mattarella - non avrebbe mai voluto. Ma che purtroppo, annuncia finalmente a tarda sera, gli impongono i barricaderi senatori del Movimento. Non la dice così, ci mancherebbe. Perché sarebbe l'ammissione di non avere il controllo dei suoi gruppi parlamentari. E quindi punta il dito contro il premier e le sue «insufficienti» aperture sul nuovo patto sociale a cui tanto teneva il Movimento.

Oggi, dunque, quando in Senato si voterà la fiducia sul dl Aiuti, il M5s non ci sarà. E, di fatto, si aprirà la crisi. A prescindere che il provvedimento passi o no, infatti, il dato politico è evidente. E crea un vulnus che se non è istituzionale è comunque ineluttabile. Impossibile, insomma, ignorare lo strappo. Come magari avrebbero preferito - in nome della stabilità - sia al Colle che a Palazzo Chigi. Perché è evidente che aprire una crisi oggi rischia di dare il via a un effetto a cascata che potrebbe risultare inarrestabile. E portare ad elezioni anticipate in autunno.

Lo scenario più probabile, dunque, è che oggi Draghi salga al Quirinale per fare il punto della situazione. E che Mattarella lo rimandi alle Camere - al Senato, dove si è creato il vulnus - già a inizio settimana. Probabilmente martedì. Così da mettere il Movimento e Conte davanti a un'alternativa dove non c'è più sul tavolo il pretesto del decreto Aiuti e del termovalorizzatore di Roma: votare sì o no alla fiducia tout court al governo.

D'altra parte, non è una novità, il capo dello Stato è convinto che non ci sia spazio per salti nel vuoto, soprattutto in un momento così complicato, con la guerra alle porte, la pandemia che si riaffaccia e una crisi economica che prende sempre più forma e che è destinata a colpire soprattutto i ceti più poveri. Tutto vuole il Colle, insomma, fuorché un'altra crisi agostana come quella che aprì due anni fa Matteo Salvini. Il Papeete contro Conte che lo stesso Conte oggi agogna. Corsi e ricorsi della storia.

Gli ambasciatori, però, sono al lavoro. E non è escluso che nelle prossime ore spunti una qualche soluzioni per tenere insieme il puzzle. Almeno per poco. Magari fino alla fine del mese, quando era in agenda il nuovo incontro tra premier e parti sociali. Ancora meglio fino a settembre, perché scavallare l'estate sarebbe un viatico per evitare le elezioni anticipate e mettere in sicurezza la legge di Bilancio senza rischiare l'esercizio provvisorio.

Un'accelerazione, quella di ieri notte, che al Colle e a Palazzo Chigi non si attendevano così netta. E che non immaginava neanche Beppe Grillo che, in questi giorni, ha deciso di non sostenere la svolta movimentista. Non è un dettaglio, infatti, che il fondatore del M5s abbia preferito restare a guardare. Una scelta che molti hanno interpretato come un sostegno a Draghi. Che è sì stanco, perfino esausto dei continui distinguo e ultimatum che arrivano dalla maggioranza. Ma che proverà finché è possibile a tenere in piedi il governo. Nonostante gli affondi di Salvini, che ieri invocava le elezioni nel caso in cui il M5s decidesse di non votare la fiducia. D'altra parte, c'è un pezzo di Lega che è decisamente più prudente. Come i governatori Luca Zaia e Attilio Fontana, che proprio ieri erano a Roma per incontrare Draghi e parlare delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina. E che non nascondo di puntare sulla «continuità». O come Giancarlo Giorgetti, che due giorni fa era a fianco del premier in conferenza stampa.

E che qualche settimana fa, durante un appuntamento elettorale a Bergamo, con un gruppo di militanti non ha esitato a criticare con forza la linea del suo leader. Tanto da arrivare a dire che bisognerebbe togliere dal simbolo della Lega la scritta «Salvini premier».

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