U n suicidio. C'è anche la morte di un poliziotto nell'elenco interminabile delle accuse scagliate dai giornali addosso al vicecapo vicario della polizia Nicola Izzo. Un linciaggio violentissimo, costruito con una specie di copia e incolla dal dossier, zeppo di calunnie, scritto da un invisibile Corvo e recapitato nelle redazioni italiane. Su quel dossier, che mescolava abilmente qualche spunto di verità e una caterva di bugie, insinuazioni e veleni, nell'autunno 2012 si appiattisce senza se e senza ma tutta la grande stampa italiana: la Repubblica, il Fatto quotidiano, il Messaggero, come raccontato ieri dal Giornale, ma poi anche il Corriere della sera, il Sole 24Ore per non parlare dei principali telegiornali.
È Repubblica ad accendere le micce il 2 novembre, subito seguita da tutti gli altri. Un coro ad una voce sola, un accerchiamento insostenibile: Izzo, che in quel momento delicatissimo ha le redini della polizia perché il numero uno Antonio Manganelli è gravemente malato, preferisce salvare l'istituzione e si dimette. L'8 novembre la campagna del Corvo, che ha usato i grandi quotidiani come buca delle lettere, si chiude con l'addio del prefetto. Sei giorni in tutto per spingere al massimo i motori della macchina del fango. L'operazione riesce in pieno: Izzo, potenziale successore di Manganelli, viene screditato accreditando il Corvo come un autorevole analista al di sopra di ogni sospetto. Di più, i giornali confondono il lettore e lo depistano attribuendo alla procura di Napoli e in qualche misura anche a quella di Roma uno sforzo investigativo basato proprio sulle rivelazioni del Corvo. Invece quel che accade nella realtà è proprio il contrario. Roma il 7 novembre spiega con tanto di comunicato che l'indagine non è su Izzo ma sul Corvo: insomma si vuol capire chi è e quale sia il suo disegno strategico. Napoli invece ha fra le mani un vecchio fascicolo in cui Izzo dal 2010 è indagato per turbativa d'asta sugli appalti per la realizzazione del Cen (Centro elaborazione dati della polizia). Ma quella pista, almeno per quel che riguarda il vice di Manganelli, non porta da nessuna parte. L'incartamento di lì a qualche settimana passerà per competenza a Roma e Roma archivierà per mancanza di elementi utili all'accusa. Dunque, contro il vice di Manganelli c'è poco o nulla, ma il Corvo imbecca le grandi firme e le grandi firme rovesciano contro il vice di Manganelli una sfilza di accuse che nessuna procura ha mai sostenuto e mai sosterrà. «Negli ultimi anni - scrive Repubblica - il Viminale ha gestito acquisti per centinaia di milioni di euro, fondi della Presidenza del consiglio, fondi Ue, fondi cosiddetti Pon per la sicurezza. E nell'elenco del Corvo si indicano i nomi delle aziende appaltatrici, tutti colossi dell'informatica e dell'elettronica».
Non basta. Perché l'anonimo si porta dietro i giornali pure nel gorgo della morte tragica del vicequestore Saporito. Ancora Repubblica: «Ma ciò che più ha colpito gli inquirenti è l'ultimo capitolo intitolato In Memoria che il Corvo dedica al vicequestore Salvatore Saporito, suicidatosi nella sua caserma di Castro Pretorio il 31 marzo 2011». Saporito era indagato per la vicenda del Cen a Napoli insieme a Izzo, ma l'anonimo ancora una volta capovolge la realtà e i giornali ricopiano acriticamente le sue calunniose insinuazioni. «Ebbene, secondo il Corvo - prosegue Repubblica - Saporito non si sarebbe suicidato perché preoccupato dell'indagine ma perché non avrebbe sopportato il mobbing al quale per lungo tempo sarebbe stato sottoposto dai suoi superiori per aver tentato di opporsi al sistema appalti dell'Ufficio logistico del Viminale. Gli urlavano contro - scrive l'anonimo estensore della denuncia - stracciavano le sue relazioni e gliele buttavano in faccia». Così Izzo e la sua immacolata carriera scompaiono nel mulinello vorticoso del lutto colpevole e della grande corruzione.
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