Sembra tutto tranne un gioco, a guardare i volti riflessi sui vetri delle slot machine. Ogni puntata si consuma nella solitudine dei suoni e i colori delle «macchinette mangiasoldi» studiate apposta per creare dipendenza. Non lontano, i turisti passeggiano lungo le mura vaticane di Roma. È pomeriggio, ma potrebbe essere notte, non ci sono finestre ed è tutto illuminato artificialmente. I frequentatori sono quasi tutti benestanti: professionisti e imprenditori e tra loro c'è chi ha buttato via interi capitali. Se i contanti finiscono sono pronti a mettersi in mano agli strozzini che aspettano il momento di debolezza per farsi avanti: quando si è perso tutto, ma si vuol giocare ancora con l'illusione del riscatto. Poi ci sono i pensionati. Tutti credono di poter smettere quando vogliono.
Sulla videolottery le immagini tre per tre appaiono e scompaiono veloci, alcuni giocatori hanno tic incontrollabili e le ore vanno avanti tra soldi che scendono, si ammucchiano, spariscono. Se rivolgi loro la parola non staccano gli occhi dal video e continuano a premere spasmodicamente «start».
A Roma, ma probabilmente in tutta Italia, in ogni sala giochi si corre il rischio di imbattersi in un usuraio. Il modus operandi è sempre lo stesso: lo strozzino individua un giocatore con un buon portafogli, si apposta alle spalle e aspetta che perda tutto. Le percentuali d'interesse raddoppiano nel giro di pochi giorni.
In Italia, i giocatori patologici sono 800mila, oltre 12mila quelli attualmente in trattamento, almeno un milione e 700mila quelli a rischio (l'indagine è raccolta nel Quaderno della Fondazione Terzo Millennio). Se il settore del gioco è in forte espansione e ha fatto nascere nuove professionalità, chi è dall'altra parte corre un rischio reale di dipendenza, può mandare in pezzi la propria vita, il lavoro e annullarsi in funzione di un pensiero fisso: il gioco.
Ogni vincita è un'occasione per provarci ancora e così si perde tutto. Si torna a casa pieni di debiti, con un unico pensiero: tornare a giocare.
L'Italia ha battuto il record dei record nel 2016, con novantasei miliardi di euro andati in gioco e scommesse (8% in più rispetto al 2015). Fanno la bellezza di 7,9 miliardi al mese, quasi 11 milioni ogni ora: cioè il 4,7 per cento del nostro Pil.
Per lo Stato, quello del «gioco d'azzardo» è un settore economicamente strategico. I giocatori hanno vinto (o recuperato) 76,5 miliardi, e perso 19,5 miliardi nel 2016, di questi, 9 miliardi sono finiti nelle casse statali (la vincita si concentra nelle mani di pochi). Tuttavia lo Stato ci rimette all'incirca 5-6 miliardi in costi sanitari (per la cura della ludopatia) e calo delle capacità lavorative.
L'azzardo è la droga del terzo millennio: l'offerta è ovunque: dai bar ai tabacchi, alle sale slot. Oggi sono abilitati all'installazione delle macchinette mangiasoldi circa 100mila punti vendita (anche se non tutti ne detengono). Circa 56mila sono bar e oltre 13mila i tabacchi.
Poi ci sono le 29.600 sale e punti gioco. Gioca un italiano su due almeno una volta l'anno. In tempo di crisi è l'unico settore sano che aumenta la propria produttività nonostante lo stato abbia aumentato le tasse sulle vincite.
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