Non deve suonare come una caccia all'untore ma, a cinque giorni dal primo caso di Coronavirus in Lombardia, continua la ricerca del paziente zero. Anzi, dopo il primo decesso in Veneto, i pazienti zero da rintracciare nel Nord Italia potrebbero essere due. Il condizionale è d'obbligo considerando le numerose incognite a cui cercare una risposta. Man mano che passano le ore «ha sempre meno senso cercarlo - spiega l'assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera - ma lo stiamo facendo lo stesso. Si sta guardando a varie strade».
Le piste seguite per capire chi ha contagiato chi sono più di una. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, spiega che «sono in corso le analisi su due possibili pazienti zero» senza voler fornire altri dettagli prima che si sappia qualcosa di preciso e comprovato.
Ricostruendo la rete di spostamenti e di contatti di Mattia, il paziente uno ricoverato al San Matteo di Pavia, e degli altri contagiati, si cerca di risalire all'origine dell'infezione. Il tassello zero è fondamentale per seguire le tracce del contagio e prevenire altri casi. Tuttavia, più passano i giorni più diventa complicato completare il puzzle.
Angelo Borrelli, capo della Protezione civile e commissario straordinario sull'emergenza Coronavirus, ipotizza che il paziente zero possa «essere un soggetto che è guarito ma che ha contagiato altre persone. Si sta lavorando per trovarlo e per questo abbiamo accentuato il cordone sanitario».
A osservare con attenzione la situazione italiana è anche l'Organizzazione mondiale della sanità, che non nasconde la sua preoccupazione sul «mistero dei contagi». «Quello che preoccupa è che non tutti i casi registrati sembrano avere una chiara storia epidemiologica, cioè un legame con viaggi in Cina o contatti con altri casi già confermati - spiega Hans Kluge, direttore dell'Oms in Europa - Ora è molto importante capire come si sono svolti gli eventi, identificare e tracciare i contagi: occorre che le autorità sanitarie italiane si focalizzino su questo aspetto».
Le ricerche si sono intensificate anche in Veneto. «Il primo focolaio - spiega il governatore Luca Zaia - si è avuto in provincia di Padova e da qui si è creata una popolazione di contagiati. I primi cinque pazienti ricoverati sono persone che formalmente non hanno avuto contatti con la popolazione cinese e siamo preoccupati perché il virus rischia di non avere più solo il vettore cinese. Ho l'impressione che più di qualche caso sia stato derubricato a semplice influenza e poi si è sviluppata la diffusione. Ovvio che non è un momento facile, ma ne verremo fuori, la macchina sanitaria del Veneto è efficiente e sta funzionando bene».
Fino a ieri, per ricostruire l'identikit del possibile portatore di Coronavirus e capire l'origine del contagio di Adriano Trevisan, il 78enne di Mira, primo morto italiano da Coronavirus, era stata seguita la «pista degli otto cinesi del bar». Il 9 febbraio l'uomo guardò il derby Inter-Milan alla Nuova locanda al sole di Vo' Euganeo insieme a otto cinesi, due rientrati di recente dalla Cina. Inizialmente si pensava che il caso zero si potesse nascondere tra loro. Ma, sottoposti ai test, sono tutti risultati negativi.
Tutto da rifare quindi, così come accaduto anche con il paziente zero di Fiorenzuola d'Arda.
Si pensava che il giovane manager, rientrato dalla Cina e uscito più volte a cena con il paziente uno, fosse un veicolo per il virus. Ma è risultato negativo a tutti i test, compresi quelli sugli anticorpi. E una volta escluso il suo coinvolgimento si è ricominciato tutto il lavoro daccapo.