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Dubbi sull'attentato al Cairo Quella strana «firma» dell'Isis

Non convincono l'intelligence la rivendicazione e l'ora dell'esplosione: il Califfato avrebbe cercato una strage

Dubbi sull'attentato al Cairo Quella strana «firma» dell'Isis

Il mistero è nella firma. Quarantotto ore dopo l'esplosione di un'autobomba davanti al consolato italiano al Cairo l' intelligence italiana e quella egiziana studiano i due elementi più contraddittori ovvero la rivendicazione siglata da un'organizzazione spietata come lo Stato Islamico e l'impiego di un'autobomba fatta esplodere durante l'orario di chiusura. Due elementi inusuali e divergenti.

Se si vuol prendere per buona l'ipotesi di un «pesantissimo avvertimento» all'Italia quel che non quadra è proprio la firma del Califfato. Lo Stato Islamico solitamente non lancia avvertimenti, ma colpisce senza preavviso. E tra l'altro di avvertimenti all'Italia ne ha già distribuiti a iosa ricordando più volte che la penisola, le sue istituzioni e i suoi luoghi sacri, a partire da un Vaticano adornato in un fotomontaggio con le bandiere nere del Califfato, sono già nel suo collimatore. Anche la modalità dell'attentato mal si attagliano alle abitudini dell'Isis. Un attacco pianificato dagli strateghi del Califfato sarebbe scattato nell'ora di massimo affollamento degli uffici. E l'autobomba non sarebbe stata fatta esplodere in prossimità del palazzo, ma dentro il portone grazie ad un kamikaze incaricato d'innescare il detonatore prima di schiantarsi sull'ingresso. Ed in questo scenario non sarebbe mancato l'intervento di militanti incaricati d'eliminare a colpi di kalashnikov e granate chiunque fosse emerso vivo dalle macerie del palazzo. A moltiplicare i dubbi contribuisce il nominativo utilizzato nella rivendicazione.

Una rivendicazione distribuita via twitter e firmata con l'inedita sigla di «Organizzazione dello Stato Islamico-Egitto». Fin qui gli attentati dell'Isis sul territorio egiziano erano stati rivendicati da «EI Wilayat del Sinai», ovvero dal gruppo del Sinai conosciuto originariamente come «Ansar Bayt al Maqdis» e ribattezzato «El Wilayat del Sinai» - ovvero Provincia del Sinai - dopo l'adesione al Califfato. Dunque se il vero Isis non c'entra chi rivendica a nome suo? E per quale motivo?

La chiave di una possibile risposta si nasconde tra i rottami di un'auto bomba molto simile, secondo l' intelligence egiziana, a quella utilizzata il 30 giugno per uccidere il procuratore generale Hisham Barakat. Un procuratore condannato a morte da Moqawma al Shabia, la cellula terroristica della Fratellanza Musulmana, perché colpevole di aver istruito i processi in cui sono stati condannati a morte l'ex presidente Mohammed Morsi e centinaia di militanti della Fratellanza.

La pista dell'autobomba conduce però a due scenari diversi e contrapposti. Il primo più rassicurante per l'Italia è quello di un attentato fuori bersaglio. Un attentato destinato a colpire il giudice Ahmed al Fuddaly, un altro magistrato molto vicino al presidente Abdel Fattah Al Sisi transitato in zona solo qualche minuto dopo l'esplosione e diretto alla sede dell'Alta Corte in un palazzo adiacente al Consolato. L'ipotesi meno rassicurante è che l'ala armata della Fratellanza egiziana abbia usato le stesse modalità operative per lanciare un avvertimento all'Italia per nome e per conto dei «confratelli» libici.

L'attentato del Cairo, come suggerisce implicitamente su Facebook il premier Matteo Renzi precede di 24 ore la firma a Skhirat, in Marocco, dell'accordo di pace e di riconciliazione proposto dall'Onu per la Libia. Un accordo firmato dall'inviato dell'Onu Bernardino Leon e dal governo libico di Tobruk, ma non dalla coalizione islamista, controllata dalla Fratellanza Musulmana, al potere a Tripoli. Dunque proprio l'estromissione della Fratellanza Musulmana libica da un accordo definito dal nostro premier «tassello importante del tentativo di stabilizzare la regione» potrebbe aver innescato la reazione anti italiana dei fratelli egiziani.

Anche perché la piena legittimazione del governo di Tobruk, considerato assai vicino al Cairo, alla vigilia di una missione europea destinata ad operare di fronte alle coste di Tripoli minaccia di disegnare scenari assai turbolenti per una Coalizione Islamista sospettata di connivenza con i trafficanti di uomini e di scarso attivismo nel contrastare l'avanzata dello Stato Islamico.

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