Le due donne del Pd di Letta si scannano come gli uomini

Il rinnovamento rosa finisce in rissa tra Serracchiani e Madia, in corsa come capogruppo alla Camera

Le due donne del Pd di Letta si scannano come gli uomini

Il fair play rosa nel Pd dura poco più di una giornata. Le due donne dem, Marianna Madia e Debora Serracchiani, candidate alla guida del gruppo alla Camera dei Deputati, sono già ai ferri corti. Si scannano per la poltrona peggio degli uomini. Un'altra grana per il segretario Enrico Letta che al suo arrivo al timone del Pd aveva chiesto la scelta di due donne capogruppo. A Palazzo Madama è filato tutto liscio con l'elezione all'unanimità di Simona Malpezzi al posto di Andrea Marcucci. A Montecitorio è scoppiata la zuffa tra Serracchiani e Madia.

Nello scontro finisce anche l'ex capogruppo Graziano Delrio accusato di aver fatto il doppio gioco. La miccia esplode dopo una lettera di fuoco spedita ai deputati del Pd da parte della Madia. Più che una lettera è un atto di accusa contro Delrio: «Vorrei agganciarmi a un punto di discussione del vademecum che il segretario Letta ha fatto distribuire nei circoli (volti e non maschere). Per questo vorrei raccontarvi come nasce la mia candidatura. Con Graziano Delrio, che ho sempre considerato persona di valore, ci legano anni di lavoro comune prima al Governo e poi in questa legislatura così complicata. È stato proprio lui, dopo aver accettato l'invito del nuovo segretario a fare un passo indietro, a chiedermi di mettermi in gioco con la mia candidatura insieme a quella della mia amica stimata Debora Serracchiani. Sceglieva una via diversa da quella presa al Senato dove il capogruppo uscente Marcucci ha invitato senatrici e senatori a sottoscrivere unitariamente la candidatura di Simona Malpezzi. Alla Camera, dunque, si è presa un'altra strada. Senonché quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro. Immediatamente si è ripiombati nel tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente, da arbitro di una competizione da lui proposta, che si è fatto attivo promotore di una delle due candidate, trasformando ai miei occhi il confronto libero e trasparente che aveva indetto in una cooptazione mascherata. Debora è una persona autorevole. Ma, ripeto, di cooptazione mascherata si tratta. Questa distanza tra forma e sostanza non è sana: non far seguire a ciò che diciamo il nostro comportamento penso sia una delle cause del perché non riusciamo più a esprimere la vocazione espansiva del nostro partito».

Affondo che Delrio respinge: «Non ho invitato nessuno a candidarsi e nessuno a non farlo perché sarebbe stato poco rispettoso della libertà. Non ho fatto trattative anche perché direi di aver già fatto la mia parte. E forse di non meritare accuse di manovre non trasparenti o di potere visto che a quel potere ho voluto rinunciare lasciando immediatamente il mio incarico. Certe parole mi feriscono oltremodo perché non corrispondono alla realtà e perché vengono da un persona che ho stimato sempre. Credo e spero che si tratti di amarezza», replica l'ex capogruppo in un'altra lettera inviata ai colleghi.

Ma Madia insiste. Chiamata in causa, Debora Serracchiani, che dovrebbe aver l'appoggio della corrente di Base Riformista, la più numerosa alla Camera, non ci sta: «Non posso credere che Maria Anna intenda riferirsi a me come una persona cooptabile e quindi, dovrei supporre, non autonoma.

No, l'autonomia è stata la cifra della mia storia personale e politica, e anche quando sono stata accanto a qualcuno l'ho fatto lealmente, condividendo idee e mantenendo libertà di giudizio. Chi sa, me lo riconosce». La pax lettiana è già saltata.

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