Sparatoria a Trieste

Due fratelli affascinati dalle gang latinos

Una vita da balordi. E in famiglia l'unica ad avere un lavoro era la madre

Due fratelli affascinati dalle gang latinos

I genitori sgobbano. I figli meno. Per gli uomini e le donne arrivati dall'America Latina, l'Italia è una sorta di terra promessa, un posto dove ci sono molti lavori che i nativi non vogliono più fare: dal facchino alla badante. Per i loro figli, cresciuti in un benessere senza prospettive, l'Italia è un posto dove non sono né stranieri né integrati. E dove la prospettiva che li attende è, se ci riusciranno, lo stesso tunnel di sudore dei loro genitori, senza nessuna chance di ascensore sociale. È qui, in questa mancanza di speranze, che attecchiscono il proselitismo delle gang e il fascino della devianza. I latinos di seconda generazione sono oggi in Italia un fenomeno drammatico, un milieu dove hanno assunto dimensioni quasi endemiche l'etilismo, la droga e l'abuso sessuale. Alejandro Augusto Stephan Meran, l'assassino dei due poliziotti fulminati nella questura di Trieste, non è un pregiudicato, non è noto come esponente delle pandillas, e lo stesso vale per suo fratello Carlysle, che dopo il furto dello scooter di venerdì mattina lo ha convinto a presentarsi in questura. La loro mamma è una donna segnata dalla fatica, una che in questi anni ha dovuto occuparsi più di portare a casa uno stipendio che di prendersi cura come avrebbe voluto dei suoi ragazzi, e che ora storce le mani dalla disperazione davanti alla tragedia provocata da Alejandro, il più apparentemente fragile dei due. Betania, come tutte le madri nelle sue condizioni, probabilmente ha sempre avuto l'incubo che i ragazzi finissero nelle grinfie delle pandillas, le filiali italiane delle bande che imperversano in America Centrale. Non poteva immaginare che il messaggio di violenza delle bande avrebbe comunque fatto breccia nei suoi ragazzi, e alla fine ne avrebbe guidato le azioni. Gli Stephan Meran vengono (via Germania, dove hanno vissuto alcuni anni) da Santo Domingo, la grande isola-stato a sudest di Cuba. C'è tutto il Mar dei Caraibi a separare l'isola dai paesi dell'istmo dove la cultura delle pandillas è più radicata: Honduras, El Salvador. Ancora più lontani sono gli altri paesi simbolo delle gang dei latinos, ovvero Messico e l'Ecuador. Eppure anche a Santo Domingo la piaga è dilagata, alimentata dai reduci delle carceri statunitense. E da li è ripartita verso i paesi della nuova emigrazione dei latinos, verso il Vecchio Continente. E i Trinitarios, la prima - e tutt'ora più potente - delle pandillas dominicane hanno esportato i loro riti e i loro business fino in Italia. Oggi i Trinitarios sono tra i soggetti forti della criminalità giovanile in alcune aree urbane del nord Italia, a partire da Milano dove si confrontano e si scontrano con le altre due organizzazioni di punta, i Latin King e la Ms13 (ovvero Maria Salvatrucha). Ma anche a Trieste e nei suoi dintorni, dove l'assassino dei due poliziotti viveva con la famiglia, la presenza criminale di origine dominicana è radicata da anni. Business principale, ovviamente, il narcotraffico: già una decina di anni fa la Direzione distrettuale antimafia di Trieste dovette intervenire per sgominare una rete di importazione di cocaina che aveva come cervelli un gruppo di giovani narciso tutti provenienti da Santo Domingo e residenti tra la provincia di Pordenone e il capoluogo giuliano. Carichi da decine di chili di cocaina partivano dai Caraibi verso l'Italia, affidati a corrieri che prima di partire per la missione venivano sottoposti a riti voodoo: componente tutt'ora presente nei riti di iniziazione dei Trinitarios i.

Una cultura che avrebbe potuto avere la sua parte nello sbalestrare la mente già debole di Alejandro, trasformandolo da ladruncolo di ciclomotori in spietato assassino.

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