Due italiani uccisi in Africa Scambiati per bracconieri

Padre e figlio vivevano nello Zimbabwe, organizzavano safari ma combattevano i trafficanti: «Erano due persone scomode»

Marino SmiderleQuelle foto in posa con le zanne di un elefante gigante scambiate per trofeo traggono in inganno. Claudio Chiarelli, 66 anni, non era un bracconiere, né tanto meno un trafficante d'avorio. Era un cacciatore, sì, ma rispettoso di una sorta di etica e di codice di comportamento che aveva trasferito al figlio 29enne Massimiliano e che domenica pomeriggio stava cercando di difendere nella riserva Mana Pools, nel nord dello Zimbabwe, al confine con lo Zambia. I due, contagiati da un inguaribile mal d'Africa, erano stati chiamati per collaborare nella lotta al bracconaggio e, secondo una prima ricostruzione che la Farnesina considera «tutta da chiarire», sarebbero stati uccisi dai ranger della riserva perché scambiati per cacciatori di frodo.«Questa apparteneva a un elefante monozanna chiamato Chipitani morto di vecchiaia». Alle foto postate da Chiarelli su Facebook vanno aggiunte le didascalie. Giusto per non scambiarlo con quel dentista americano che fece arrabbiare il mondo intero per avere ucciso il leone Cecil e per essersi fatto scattare una foto ricordo. Per quanto strano possa sembrare a coloro che considerano i cacciatori dei «criminali», padre e figlio si ritenevano i primi custodi della fauna africana. Organizzatori professionali di safari e rispettosi di animali e ambiente. Si può? Si deve. Questa era la regola che Massimiliano Chiarelli si era imposto fin dal suo arrivo nello Zimbabwe negli anni 80. Nato in Libia da una famiglia di origine toscana e sposato con una padovana, Giuliana Sartori, il futuro organizzatore di safari partì proprio dalla città del Santo con la moglie per costruirsi una vita diversa in quella che un tempo si chiamava Rhodesia. E ad Harare, città dove ha vissuto per tutto questo tempo, era nato Massimiliano.Chissà se verrà davvero appurato ciò che è successo nella riserva naturale di Mana Pools. Al di là del rapporto che stileranno le autorità dello Zimbabwe che si stanno occupando dell'«incidente» potrebbe essere decisiva la testimonianza di Francesco Marconati, un veterinario padovano che era con i Chiarelli quando sono stati esplosi gli spari fatali da cui, miracolosamente, è uscito indenne.Renato Luca, un imprenditore vicentino che è stato più volte nello Zimbabwe e che ha partecipato a battute di caccia con Claudio Chiarelli, e Carlo Bragagnolo, regista e fotografo trevigiano, ne ricordano il profondo amore e rispetto per l'Africa e i suoi animali: «Era un cacciatore professionista ma cacciava solo ed esclusivamente capi destinati all'abbattimento - hanno spiegato - e non faceva sparare se non era sicuro che l'animale venisse abbattuto con un solo colpo. Aveva insomma delle regole ferree e una etica rigorosa, non era uno di quelli che speculava sulla caccia. Ai suoi dipendenti aveva anche dato abitazione, cure mediche, scuola garantita ai figli. L'Africa era casa sua e la rispettava in ogni modo». E proprio questa sua etica potrebbe aver dato fastidio a qualcuno fino a trasformarlo in «una persona scomoda». Fino a pagare con la sua vita e con quella del figlio Massimiliano, «un ragazzo timido, introverso, tranquillo, che aveva fatto la scuola per diventare cacciatore professionista ma che non aveva ancora deciso cosa fare del suo futuro». Nel 2002 era scampato a un'aggressione da parte degli sgherri del presidente Mugabe. «Ora ti stacchiamo il cuore e te lo mangiamo», gli dissero mentre occupavano la sua proprietà.

«È la fine», pensò in quel momento. E invece la fine, per lui e per suo figlio, è arrivata quando proprio non se l'aspettava, a tradimento. Forse non se n'è nemmeno accorto. L'Africa è così, ti cambia la vita e poi te la toglie senza dare spiegazioni.

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