Un duello rusticano con Renzi e Conte. Dietro si muove già la partita elettorale

Provocazioni dei predecessori e gag Matteo: "Volevo farla arrabbiare". Gioco a scacchi sul meccanismo di voto. "Una soglia bassa servirà a Calenda"

Un duello rusticano con Renzi e Conte. Dietro si muove già la partita elettorale

«L'ho fatto apposta per farla arrabbiare. Lei per tre minuti non ha capito nulla perché è una secchiona che si deve preparare, se gli mischi le carte va fuori di testa. Poi certo ha la sua clack in Parlamento che comincia a mugugnare, a fare buuu, ngoo come sempre. Un problema serio, non si interrompe un leader dell'opposizione. Non hanno sentito neppure quando ho ricordato che la Meloni a 8 e mezzo aveva detto che tra Renzi e Putin avrebbe scelto Putin. Io invece tra lei e Putin sceglierò sempre lei». Matteo Renzi nel salone di Palazzo Madama commenta da istrione il duello che lo contrappone puntualmente alla Meloni. È una costante di ogni dibattito parlamentare, a metà strada tra lo scontro politico e la gag. A un anno e mezzo dall'ultimo question time con la premier al Senato l'appuntamento non poteva mancare. Il pubblico avrebbe protestato e chiesto indietro i soldi del biglietto. Così l'avvenimento si è trasformato in un duello rusticano tra tre premier con battute velenose, colpi proibiti e calci negli stinchi. Quello tra Meloni e Renzi nell'aula. Quello con Giuseppe Conte, nei panni di guest-star, in Transatlantico. Agli altri solo ruoli di comparse o comprimari.

Scontro al fulmicotone. Renzi ironizza sul fatto che la riforma sul premierato è scomparsa, se ne è persa traccia e chiede alla Meloni se sconfitta al referendum si dimetterebbe come ha fatto lui o no. La premier risponde a tono. Secca. Un tantino alterata: «Il premierato sta andando avanti, dipende dal Parlamento, è la madre di tutte le riforme. Come andremo avanti sulla riforma della giustizia. Dimissioni? Le darei volentieri ma non farò mai niente che abbia già fatto lei».

Si passa alla legge elettorale e la premier annuncia di essere favorevole alla preferenze. Almeno su questo i due sono d'accordo ma con motivazioni diverse. «La Meloni - spiega Renzi - è convinta che il Paese stia maglio di due anni fa. Ci crede davvero. Si fida delle agenzie di rating, lei che una volta sondava la gente nei mercati rionali. È pronta per salire sul Britannia (lo yacht dove si decisero le privatizzazioni, ndr). Invece non è così, la gente soffre al supermercato. Vogliono cambiare la legge elettorale perché pensano di perdere. E perderanno. Berlusconi era in grado di modificare l'andamento di una campagna elettorale. Lei no».

A vedere il profilo della Meloni su Instagram e quello di Fratelli d'Italia il succo della giornata è tutto qui. In Transatlantico però c'è un altro ex-premier, Conte. Il duello e a tre, come nei western di Sergio Leone. Quando si incontrano lui e Renzi sembra di rivedere Clint Eastwood e Lee van Cleef. Decidete voi chi è «il Buono» e chi è «il Cattivo». Renzi indica Conte «come il più paraculo di tutti» e l'altro risponde «senti chi parla». Poi rimarca: «Avete visto non gli ho dato le spalle per non rischiare» e ridacchiando fa il gesto del pugnale.

Anche Conte è in vena di lodi postume al Cav naturalmente per attaccare la Meloni. «Berlusconi - dice - era un democratico. Lui aveva un conflitto d'interessi palese con i suoi giornali e le tv. Quello della Meloni, invece, è nascosto. Lei sta affamando e affogando i giornali attraverso le partecipate. Dispone della Rai e dei giornali. Berlusconi a confronto era un profondo democratico. È un problema serio. Specie in un mondo in cui la libertà è diventata il bene principale. Dove è urgente dare una normativa anche ai giganti del web altrimenti saranno loro a dettare le regole alla politica».

Conte, invece, è scettico sulla legge elettorale. «Mettono le preferenze e il proporzionale - osserva con l'aria di chi ha mangiato la foglia - e noi siamo d'accordo. Poi però si inventano un premio di maggioranza per chi raggiunge il 40, toh, il 42%. Una legge del genere sarebbe peggio della legge truffa del 1953. Comunque le elezioni le decidono gli elettori. Non vi fidate dei sondaggi che danno il partito della Meloni al 30%. La gente sta male e nell'urna lo dimostrerà».

Si parla di elezioni, di legge elettorale e Conte in vena di confidenze non trascura il «rebus» che tormenta il campo largo: Elly Schlein è il candidato giusto per competere con la Meloni? «Non lo so - risponde furbo - mi dicono che hanno dei dubbi anche nel Pd. Vediamo, passo dopo passo. Voi però intanto fatemi pubblicità». È fatale. Superata la boa di metà legislatura nel Palazzo si parla sempre di legge elettorale. Una partita a scacchi tra schieramenti. La Meloni punta ad una soglia bassa per i partiti che sono fuori dalle coalizioni. «Una soglia del 2-3% - dice Alberto Balboni di Fratelli d'Italia, spostando l'Alfiere - per dare modo a Calenda di andare da solo e dividerlo dal campo largo». «Per chi è fuori dalle alleanze - ribatte il capogruppo del Pd, Boccia, muovendo la Torre - la vogliamo all'8%. Ci vanno bene preferenze e proporzionale ma non il premio di maggioranza. Non penso però che la Lega accetti l'idea di abbandonare i collegi: con questa legge elettorale ha preso l'8% dei voti ma ha il 16% dei parlamentari.

Chi glielo fa fare. Alla fine non si farà nulla e noi andremo al voto con il lodo Franceschini, andare divisi nel proporzionale per colpire uniti nei collegi. Se si votasse oggi con i grillini vinceremmo in tutti i collegi del Sud».

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