E la banda italo-somala sequestrava i clandestini

Rapiti e segregati in casa. La libertà costava mille euro. Sette fermi, sei ancora in fuga

Valentina Raffa

Soldi a palate dai continui arrivi di immigrati in Italia. Un'autentica manna dal cielo per un'organizzazione criminale italo-somala che si arricchiva sbarco dopo sbarco sequestrando i clandestini per poi chiedere denaro in cambio della loro liberazione.

Sono 13 i fermi emessi dalla procura distrettuale di Catania, eseguiti dalla Squadra mobile etnea, diretta da Antonio Salvago, e dal Servizio centrale operativo, per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono 7 le persone fermate: i somali Adam Abi Ismail, 24 anni, Mahamed Mohamud Adam, 25 anni, Mohamed Mour Abdi, 29 anni, il 27enne Dahir Abdullhai Gure, Yassin Mahamud Farah, 29 anni, e i due italiani Salvatore Pandetta e Sebastiano Longhitano, di 62 e 64 anni. Proseguono le ricerche degli altri 6 indagati, allontanatisi dall'Italia.

La polizia ha scoperto un «centro raccolta» di somali clandestini. Venivano captati dopo lo sbarco e prelevati dai centri di accoglienza in particolare della Sicilia e della Calabria per essere trasferiti a Catania in appartamenti in disponibilità del sodalizio criminale. E qui iniziava il calvario per i somali, tra cui anche minorenni. Non venivano liberati se non dopo il pagamento di un riscatto, dai 700 ai 1.000 euro, da parte della famiglia d'origine, effettuato in genere col sistema del «Hawala», per non lasciare traccia, o su carte prepagate. Il denaro serviva in parte per il biglietto verso la meta finale in Italia o nel Nord Europa.

La polizia ha scoperto 9 appartamenti a Catania usati come centri di raccolta. Al momento dell'esecuzione del fermo vi erano rinchiusi 37 somali, di cui 3 minori, ed è stato fermato il somalo Abshir Ali Abdi, 26 anni, per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Nel corso delle indagini, avviate nell'ottobre 2015 e concluse qualche giorno fa, grazie alle intercettazioni telefoniche e a servizi di controllo, è emerso che gli indagati somali monitoravano costantemente i flussi migratori. Subito dopo gli sbarchi inviavano una persona di fiducia nei centri di accoglienza, favorendone la fuga e la permanenza clandestina coatta fino al pagamento del denaro richiesto. L'organizzazione per delinquere sgominata nel corso dell'operazione «Somalia express» aveva una ripartizione dei ruoli e dei compiti non rigida né verticistica. Gli associati erano factotum, dedicandosi alle mansioni di volta in volta necessarie, fatta eccezione per i due italiani che mettevano stabilmente a disposizione un servizio di trasporto tramite le proprie auto.

L'inchiesta fu avviata il 10 ottobre 2015 quando una donna somala residente a Milano denunciò il sequestro di un nipote tenuto segregato a

Catania da connazionali che, per il rilascio, chiedevano del denaro. Quattro giorni dopo la polizia liberò il minorenne, detenuto con altri ragazzi in un «internet Point» di Catania da tre somali che furono poi subito fermati.

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