E la City teme di perdere fino a 6mila miliardi

Tanto vale il settore finanziario inglese che con lo schema «equivalence» non appare garantito

E la City teme di perdere fino a 6mila miliardi

Londra - Dimenticate per un attimo il confine nord irlandese, la clausola di backstop e il controllo dei confini. Da quando il 23 giugno 2016 il Regno Unito ha votato per uscire dall'Unione Europea, il diamante della corona inglese che più ha fatto gola alle capitali e alle comunità economiche del continente è stato la City di Londra. Vale a dire il futuro del più importante agglomerato di banche e assicurazioni e broker e attività finanziarie dell'intero pianeta.

Delle 585 pagine della bozza di accordo raggiunto tra Bruxelles e i negoziatori inglesi, solo 115 parole sono state spese per delineare il futuro del settore più importante dell'economia inglese, che da solo pesa per oltre il 6.5% dell'intera economia britannica. L'intesa dice che le banche inglesi avranno accesso al mercato europeo secondo uno schema di equivalence, termine che Bruxelles utilizza per definire i rapporti con il settore finanziario americano e giapponese. Uno schema che, per come è concepito oggi, copre solo una parte limitata dei servizi finanziari offerti attualmente dagli istituti inglesi ed esclude molti dei servizi bancari più comuni, come quelli legati ai prestiti commerciali.

La vaghezza e l'insufficienza, dal punto di vista inglese, di quanto contenuto nella bozza, ha scatenato le critiche della comunità finanziaria della City. Fino a oggi i piani di trasferimento degli istituti finanziari verso Parigi, Dublino e Francoforte sono rimasti per lo più nel cassetto e non si è assistito all'esodo verso il continente che molte Cassandre avevano vaticinato dopo il voto referendario. Qualche ufficio si è spostato, alcune attività ricollocate, ma niente di epocale. La City è rimasta la City. Da oggi però le cose potrebbero cambiare. Anche perché un altro aspetto che spaventa i banchieri è l'incertezza che lo schema di equivalence si porta dietro. Oggi infatti l'Europa può decidere di ritirarsi dallo schema con un preavviso di soli 30 giorni, troppo pochi per permettere agli istituti finanziari di preparasi adeguatamente. Potrebbe sembrare un'eventualità remota, ma lascia comunque spiraglio all'incertezza, che è lo spauracchio di tutti gli uomini di finanza. Chi potrebbe trarre vantaggio da questa situazione è Parigi che, a sorpresa, qualche mese fa, si è già aggiudicata la corsa per ospitare la sede dell'Eba, l'associazione bancaria europea. Oggi il suo giro d'affari finanziario vale circa la metà di quello londinese (che ammonta a circa 6mila miliardi di euro).

Stime sui possibili impatti economici che le 115 parole della bozza di trattato dedica all'industria finanziaria al momento non ce ne sono. Previsioni di cui il Fmi non è stato parco quando due giorni fa ha pubblicato la sua annuale valutazione dell'economia inglese, riaffermando che, qualsiasi sia l'accordo raggiunto, Londra perderà.

Ma se hard Brexit vorrà dire catastrofe, nel caso di un'uscita ordinata le ferite saranno perlomeno limitate, con i consumi e gli investimenti che potrebbe riprendere quota e spingere l'asfittico Pil britannico oltre l'1,5% ora previsto per il 2019.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica