Cuneo - C'è un posto, nel cuore del Piemonte, dove la domanda tormentone del momento - «euro si, euro no» - non è mai arrivata, perché la cara vecchia lira la fa ancora da padrona. E non è un avamposto sperduto tra i monti ma bensì uno dei più grandi mercati di bestiame d'Italia, dove ogni anno vengono commercializzati oltre 22mila bovini. Questo luogo fuori dal mondo - e dall'Europa - si chiama Miac, mercato agroalimentare all'ingrosso cuneese, si trova alla periferia di Cuneo, ed è qui che ogni mattina si ritrovano allevatori e macellai provenienti da Piemonte ma anche dalla Liguria, dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Valle d'Aosta e dalla vicina Francia, per vendere e comprare i vitellini da latte piuttosto che il bue.
Le contrattazioni iniziano all'alba, a mercato ancora chiuso e possono durare anche delle ore: spuntare una, due lire al chilo su un bovino che pesa quintali, diventa determinate per portare a casa un buon affare. La parola euro è categoricamente bandita e pronunciarla anche solo per sbaglio innesca un coro di proteste, come se si fosse compiuto un fallo in pieno gioco. La nostalgia per il vecchio conio, ha poco a che fare con il folklore o l'incapacità di adattarsi al mercato, come spiega il direttore del Miac, Gian Battista Becotto: «Ai commercianti non interessa l'euro, per loro è importante solo portare a casa un buon affare». Una volta che ci si mette d'accordo sul prezzo, basta una stretta di mano per siglare l'affare è poi, nella sala contrattazioni, l'euro si prende la rivincita. Tutti i commercianti sono dotati di convertitore e il prezzo pattuito nelle vecchie care lire viene moltiplicato per quel numerino magico che molti di noi, forse, hanno già dimenticato: 1.936,27.
«Sono soprattutto gli allevatori a non voler abbandonare la lira - precisa il direttore Becotto - ed è soprattutto una questione psicologica: per loro un milione fa colpo, mentre 500 euro son pochi. Un meccanismo che fa molto comodo a chi compra, perché durante la contrattazione i prezzi variano di mille lire per volta e non di un euro, che sarebbe il doppio».
Un mondo, quello del Miac, che ha chiuso le porte alla moneta unica europea ma, nonostante ciò, sono proprio le compravendite di questi contadini che indossano grembiuli enormi e parlano volentieri il dialetto che indirizzano i listini di riferimento per l'intero settore italiano.
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