Torino - Si gioca tutta nello scontro titanico tra due mondi, Pd e M5s, e tra due modi diversi di intendere la città, la sfida che a Torino può sancire un colpo al partito del premier o la grande impresa dei grillini nel nord Italia. E in un testa a testa tra due candidati agli antipodi anagrafici e politici, sull'asse elettorale che va dalle periferie all'industria, alla zona grigia dell'astensione.
Dopo il primo turno che lo ha costretto al ballottaggio con un vantaggio di 11 punti sulla pentastellata Chiara Appendino, Piero Fassino ha alzato la posta e ieri ha annunciato un piano di investimenti da 4 miliardi in opere pubbliche e 20mila nuovi posti di lavoro. «Irresponsabile, a poche ore dal voto, promettere posti di lavoro su investimenti ipotetici», ha ribattuto a stretto giro la rivale.
Occupazione, dunque, ma non solo. Il sindaco spera di risvegliare il popolo del Pd e di ricompattarlo con quella sinistra che il 5 giugno gli aveva preferito Giorgio Airaudo. Dal quale non è arrivato però alcun appello per far confluire il consenso verso il candidato piddino. Tanto che per far fronte all'invito, questo sì esplicito, della Lega e del centrodestra a votare la 31enne bocconiana in chiave antirenziana, più che sul segretario premier, da cui si è tenuto alla larga durante tutta la campagna elettorale, l'ultimo segretario dei Ds ha cercato e ottenuto il sostegno del paladino arancione Giuliano Pisapia. E poi avanti nelle periferie, un tempo presidio dei circoli del Pci e oggi fonte di consenso della front woman del M5s, che al primo turno ha scalzato i dem nei quartieri popolari. La candidata anti-establishment contro le promesse di Fassino sulla lotta alla povertà («il reddito di cittadinanza c'è già») soffia con i suoi modi pacati ma decisi sull'insofferenza alla casta, scagliandosi contro quel «sistema» di potere che a Torino si dipana tra fondazioni e banche. Affiancata dalla narrazione dei mattatori di piazza Di Battista e Fico, l'imprenditrice si è accreditata come «il nuovo che avanza, ed è inarrestabile». Una novità che però consegnerebbe Torino, lancia l'allarme Fassino, a un destino di «città piccola» nelle mani dei cinque stelle e dei loro «No» alle grandi opere, non solo la Tav.
Lontana dalla «Torino Grande» che lui immagina.«Noi vogliamo una città ambiziosa, con imprese internazionali per farla tornare ad essere produttiva» ha replicato Chiara. L'ultimo occhiolino di entrambi è per gli industriali. LoBu
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