Lontana dal referendum costituzionale di ottobre, dal bonus degli 80 euro, dalle pensioni e dalla narrazione del Sì del segretario premier. Immersa nelle buche, nei marciapiedi, nella viabilità degli autobus, nella sicurezza dei quartieri e nell'immigrazione. Attenta, più che a rottamare, a rintuzzare le corde nostalgiche che ancora vibrano sotto i feudi rossi un tempo teatro delle grandi lotte del Pci prima che dei democratici, dove pulsa una fetta dell'elettorato resistente e insofferente al Pd renziano.
Eccola, la campagna elettorale degli unici due candidati di centrosinistra che alla vigilia del voto sono dati per favoriti nella sfida delle Amministrative nelle grandi città, e che minaccia un terremoto politico a largo del Nazareno. Marcare le distanze, rivendicare l'indipendenza dagli indirizzi della politica nazionale e del partito abbracciato da Verdini: a Torino e a Bologna, gli uscenti Piero Fassino e Virginio Merola hanno giocato in difesa dall'assedio di grillini e centrodestra smarcandosi dai grandi slogan dei dem. Selfie con Matteo? No grazie. E niente simbolo del Pd, ha detto Fassino. Perché nelle città si votano le persone, non i governi, è il mantra. E l'intuizione si annuncia azzeccata. Tanto che l'ultimo segretario dei Ds, fassiniano per definizione, è passato nel giro di due mesi da rincorrere l'avanzata della rivale pentastellata Chiara Appendino, a inseguire una vittoria al primo turno. Sfiancando le ambizioni del Movimento che con l'imprenditrice già pregustava una riscossa stile Virginia Raggi nella Capitale, con una full immersion «porta a porta» trascorsa tra problemi e soluzioni, contro la fuoriuscita dei delusi verso l'azzurro Osvaldo Napoli.
A Bologna intanto Merola ha pensato di sigillare la fine della campagna elettorale firmando il referendum della Cgil, baluardo di voti nell'ultima roccaforte comunista, contro il Jobs Act, la madre delle riforme renziane. Ora si trova a un passo dal primo turno. Cofferatiano, dichiaratamente insofferente agli «yesman» di Matteo, contro le quotazioni in ascesa della candidata di centrodestra Lucia Borgonzoni ha cavalcato la disillusione dal sogno renziano che brucia tra i militanti e i radicali di sinistra.
Fino all'ultimo ha evitato il simbolo del partito. Con un occhio ai voti musulmani, ha rilanciato la proposta dalemiana dell'8 per mille alle moschee. E con il premier segretario, oggi a Bologna alla Festa del Pd, è previsto solo un pranzo veloce.
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