E i ministeri non pagano i contributi

L'Inps bacchetta Difesa e Istruzione per gli arretrati mai versati

E i ministeri non pagano i contributi

Roma La pubblica amministrazione resta un pessimo datore di lavoro, soprattutto dal punto di vista dell'Inps. La fusione tra il vecchio istituto di previdenza pubblica, l'Inpdap, e l'istituto che gestisce quella privata ha dato diversi problemi. Primo fa tutti un rosso patrimoniale che l'Inps si porta ancora dietro. Alla base di tutto, il mancato versamento dei contributi da parte delle amministrazioni pubbliche a causa di un vecchio vizio della Pa che consiste nel quantificare la pensione a fine carriera dei dipendenti.

È di ieri la notizia che l'istituto guidato da Tito Boeri ha dovuto tirare di nuovo le orecchie a un pezzo importante di pubblica amministrazione, in particolare al ministero della Difesa, a causa di mancati versamenti per il personale militare.

Una circolare del novembre scorso - ha riportato ieri il Messaggero - intima i ministeri a fornire all'istituto i dati dei contributi versati in passato entro la fine di gennaio.

Mancano molti dati relativi alla Difesa, ma anche del ministero dell'Istruzione. Per chiudere la partita e acquisire tutte le informazioni necessarie l'istituto potrebbe essere costretto ad assumere altro personale e formare una task force. Resta il trattamento di favore per il datore pubblico inadempiente, rispetto a quelli riservato ai privati.

Sulle pensioni continua a tenere banco l'anticipo pensionistico. Boeri ieri assicurato che saranno pagati gli arretrati dell'Ape sociale entro Natale: «Lavorando anche sabato domenica e festivi riusciremo a liquidare il primo lotto di arretrati».

Rassicurazioni insufficienti secondo il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano: «Quest'anno, grazie ai ritardi, alle interpretazioni restrittive date dall'Inps e alle regole troppo stringenti volute, come al solito, dalla Ragioneria, forse non verrà pagato un solo assegno. C'è il rischio che una misura positiva venga vissuta come un flop». Un rischio soprattutto per il Pd di Matteo Renzi.

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