Festival di Sanremo

E l'opposizione grida al regime sotto dettatura di "Repubblica"

La kermesse usata per lanciare il solito allarme fascismo, a tre giorni dalle Regionali. Ma lo spauracchio del Ventennio ha stufato gli elettori

E l'opposizione grida al regime sotto dettatura di "Repubblica"

A Sanremo se non sei in concorso devi suonare i classici, le melodie che sono patrimonio di tutti gli italiani. Cosa c'è di più nazional-popolare dell'antifascismo, il top degli evergreen, interpretato da Benigni, il sommo cantore della sinistra? Nella comparsata del presidente, tanto interessato al Festival da andarsene un attimo dopo il monologo, c'è chi ha letto un segnale di giù-le-mani-dalla-Costituzione mentre il Parlamento si valuta la riforma Calderoli. Magari era così, nelle intenzioni del Quirinale, ma l'esegesi autentica della tirata del giullare è venuta dalle colonne di Repubblica: la dittatura fascista che inibiva la libertà di parola e incarcerava i trasgressori. A tre giorni dalle elezioni regionali, ci sta che la corazzata degli ascolti ci ricordi con eleganza che a votare i pronipoti, o presunti tali, si rischia di essere prelevati di notte in casa propria e gettati in galera.

È improbabile che riesca a spostare dei voti. Già alle politiche, quindi prima di andare al governo, agitare lo spettro del ventennio non ha arginato lo smottamento degli elettori verso quella che viene definita destra estrema. Difficile che sortisca effetti adesso che, dopo oltre cento giorni di governo, è sotto gli occhi di tutti che l'ultima cosa di cui preoccuparsi sia una deriva autoritaria. Sembra piuttosto l'ennesimo can-can mediatico. Come sappiamo, gli italiani sono alle prese con problemi profondi e strutturali, scuola, giustizia, economia che non genera opportunità dignitose di lavoro e salario, su cui si è imposto un costo della vita in aumento dopo decenni. Ebbene, da mesi gli viene servito a cena in TV un menu fatto di rave party, di tetto al contante, di soglia del POS, di neocolonialismo del Governo che cerca in Libia il gas per abbassare la bolletta energetica, di anarchici e galeotti inappetenti. Va bene fare opposizione, è il sale della democrazia, ma perché insistere su quisquilie di cui oggettivamente non interessa quasi a nessuno? Com'è che i media le tengono in cartellone per settimane? Soprattutto, c'è un pensiero politico? Siamo abituati a pensare che i partiti politici abbiamo delle testate di riferimento, ma può essere pure il contrario, come nel caso dei 5S, loro organici al quotidiano di riferimento, detto Fatto. Ci sta, per un movimento di sprovveduti nato da un «vaffa».

Sorprende che invece anche la sinistra, nelle sue variabili aggregazioni, sia in realtà organica al sistema mediatico che pure essa stessa ha generato. Probabilmente, al tempo del metaverso è l'avatar della sinistra, l'intellighenzia mediatica, a dettare l'agenda ai suoi organi politici, che sembrano quasi costretti a inseguirla, interrotti nella loro quotidiana osservazione dell'ombelico, finalizzata alla solita piroetta di fusioni e scissioni. Forse sta in questo l'incapacità, ormai cronicizzata, di formulare una proposta politica che incontri l'interesse della gente, oltre quella Fortezza Bastiani dei centri storici benestanti e illuminati, anche troppo, quasi fulminati. Dopotutto, gli intellettuali mediatici sono tali perché non dipendono da un prosaico risultato elettorale, brillano di luce propria, sono essi la luce.

Intendono la politica come uno sport, dove conta partecipare e sventolare le bandiere, cioè se stessi. Governare? E perché?

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