Politica

E la mini-sterlina prende il volo sul dollaro mentre Londra alza le stime sulla crescita

Tassi fermi, ma la svalutazione del pound crea l'allarme per l'inflazione

Rodolfo Parietti

La maggioranza degli inglesi ha vissuto ieri un paradosso: per la prima volta dal luglio scorso, il pound pesava decisamente di più nelle tasche per effetto di una sentenza che potrebbe mettere in forse quella Brexit per cui ha votato il 52% dei sudditi di Sua Maestà la Regina. Dopo mesi di semi-liquefazione del cambio, con una perdita attorno al 15%, la sterlina ha infatti d'improvviso ripreso un po' di colore come le britanniche facce appostate davanti ai monitor con i tassi di cambio: dagli 1,232 dollari di mercoledì scorso, il pound è risalito fino a quota 1,2485 dollari.

Certo è del tutto prematuro parlare di un'inversione di tendenza. Sia perché il biglietto Usa è in questo momento indebolito dai timori di una possibile affermazione di Donald Trump nella corsa per la Casa Bianca, con conseguente nervosismo su tutti i mercati (Milano ha incassato un altro ribasso dello 0,33% dopo il -2,5% subìto l'altroieri), sia perché il cambio di passo nei confronti dell'euro non c'è stato. Eppure, al di là dei possibili scenari che si aprono dopo il verdetto dell'Alta Corte, con margini di incertezza poco graditi agli investitori, potrebbe essere aumentata la percezione che il pound sia decisamente sottovalutato. Soprattutto alla luce di quanto deciso, sempre ieri, dalla Bank of England (Boe). La banca centrale inglese non solo ha confermato il piano di sostegno all'economia da 435 miliardi e il programma di acquisto di obbligazioni societarie da 10 miliardi, ma ha preso tutti in contropiede lasciando invariati i tassi allo 0,25%. Alla vigilia, la preoccupazione dei mercati era legata a un ulteriore allentamento delle maglie monetarie sotto forma di un taglio del costo del denaro. Non ce n'è stato bisogno. E per un motivo. Anche la Boe aveva finora sovrastimato gli effetti negativi del «leave», del divorzio dall'Europa. E invece. Forte dell'aumento pari allo 0,5% messo a segno dal Pil nel terzo trimestre e della fiducia manifestata dalle imprese, l'istituto è ora convinto che «l'outlook di breve sull'attività economica sia più solido di quanto previsto tre mesi fa». Un convincimento sorretto anche dalla sorprendente robustezza dei consumi vista nel periodo successivo al referendum. La debolezza della sterlina non si è insomma tradotta in un tracollo delle spese private. Probabilmente grazie a salari che hanno continuato ad aumentare. «Grande assenza di panico tra i consumatori», ha rilevato il governatore Mark Carney.

L'idea che la Boe si è fatta è che la Gran Bretagna pagherà dazio quest'anno alla Brexit, per poi andare meglio nel 2017 rispetto alle previsioni. Non a caso, la banca ha abbassato la stima di crescita relativa al 2016 al 2% dal precedente 2,2%, mentre le proiezioni per il prossimo anno sono state riviste al rialzo a +1,4% dallo 0,8% indicato ad agosto. Il problema è l'inflazione, proprio a causa del cambio debole: salirà al 2,7% nel 2017, quasi il triplo rispetto al livello attuale. «La politica monetaria è in grado di rispondere, in entrambe le direzioni, ai cambiamenti delle prospettive economiche», ha detto Carney.

Come dire: se sarà necessario, non esiteremo ad alzare i tassi.

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