E ora la battaglia sul referendum che tutti hanno paura di perdere

Il pm Gratteri mette le mani avanti per tattica: "Meloni? In ogni caso non rischia". Opposizione in ordine sparso

E ora la battaglia sul referendum che tutti hanno paura di perdere

Nulla si addice di più al referendum della giustizia del prossimo maggio (ormai si dà per scontata anche la data) che un'espressione araba, "umm al-ma'arik", la madre di tutte le battaglie, un'eco del Corano reso famoso da Saddam Hussein. Perché è il capitolo finale di una guerra sulla giustizia, che ha avuto morti e feriti, in termini di errori giudiziari, di persecuzioni o di soprusi in carta bollata, che è andata avanti per trent'anni. Uno scontro che ha caratterizzato la Storia di una Repubblica al punto che domani nel centrodestra c'è chi vorrebbe festeggiarne l'approvazione a Piazza Navona sotto la gigantografia di Berlusconi (Forza Italia e Lega) e chi da solo davanti al Senato (Fratelli d'Italia).

Una battaglia referendaria che nessuno vorrebbe combattere perché tutti hanno paura di rimetterci qualcosa (la prima vittima è il Ponte sullo stretto bocciato dalla Corte dei conti) ma che nel contempo tutti sanno di non poter evitare: è già pronta la lettera di tutti i parlamentari del centrodestra che chiede il referendum.

È la paura il sentimento che contraddistingue uno scontro sul cui esito, al di là del training autogeno di parte, nessuno è pronto a scommettere. "È un terno al lotto ma vale un candelabro altroché una candela", confessava il Guardasigilli Carlo Nordio, sul portone di Palazzo Madama, alla vigilia del voto finale.

Uno sconfitto ci sarà. Il governo, l'opposizione o la magistratura. È fatale. E visto che nessuno può dare per scontato il risultato, si mettono le mani avanti per tattica o per evitare guai. Su entrambi i versanti. "Se perde la Meloni non rischia - fa sapere il pm più famoso d'Italia, Gratteri - perché non è un referendum su di lei". "Il referendum - osserva il presidente del Senato, Ignazio La Russa - non è sulla Meloni, né sulla magistratura per cui non dipende dal quel voto se il governo andrà avanti o no".

Parole che hanno un senso che spesso è contraddetto dalla prassi (vedi Matteo Renzi). Anche perché se la maggioranza vuole mantenere il confronto sui temi referendari, l'opposizione punta invece a uno scontro politico visto che tra le vicende incredibili del processo di Garlasco e altro, la difesa tout court della magistratura rischia di non rivelarsi una strategia vincente. Così l'ex presidente del Senato, Marcello Pera, accusa il Pd di politicizzare lo scontro "di trasformare l'associazione magistrati in una componente del campo largo". Mentre Francesco Boccia, capo dei senatori del Pd, teorizza l'esatto contrario. "Le perplessità di La Russa - osserva - dimostrano che ha paura. La Meloni si è ficcata in un guaio. Il nostro referendum sarà su di lei. Sulla manovra economica, non sulla difesa della magistratura. Su questa impostazione riusciremo a portarci dietro tutto il nostro elettorato identitario, lei invece perderà un pezzo del suo che non accetta lo scontro frontale con la magistratura. Né può giocarsi la carta della perseguitata dai giudici come Berlusconi. Si è ficcata in questo vicolo cieco".

Sono tanti i fattori che possono pesare sull'epilogo finale. Ad esempio, quanti pezzi del proprio elettorato di riferimento possono perdere i due schieramenti. Nel Pd diversi nomi pesanti sono a favore della separazione delle carriere: Bettini, Morando, Ceccanti, Gualmini. Ma anche sull'altro versante c'è un pezzo di destra che ha sempre subìto il fascino delle toghe. Gaia Tortora, ad esempio, ha rifiutato un posto nel comitato per il sì al referendum perché Fratelli d'Italia ha fatto saltare la giornata delle "vittime degli errori giudiziari". E Giuseppe Valentino, avvocato e già parlamentare della destra, un garantista tutto d'un pezzo, ricorda come una volta "i garantisti erano a sinistra mentre i forcaioli a destra".

Insomma, gli schieramenti sono variegati. Vincerà chi porterà i propri a votare. Matteo Renzi, favorevole alla riforma, probabilmente opterà per l'astensione di fronte alla politicizzazione del referendum. Mentre Carlo Calenda voterà "sì". "Con Giorgia - confida Osvaldo Napoli, ex parlamentare forzista finito ad Azione - si sente tutti i giorni. Alle politiche staremo con il centrodestra, sperando di fare il 5% per scaricare Salvini subito dopo. Per cui figurarsi se non facciamo campagna per il referendum".

Spostamenti che si riflettono sui sondaggi commissionati dal ministero della Giustizia: un mese fa i "no" alla riforma salivano, nell'ultima settimana invece i "sì" hanno toccato il 57%. Ma quello su cui punta l'opposizione è l'economia, il disagio sociale perché di separazione delle carriere o di sorteggi al Csm non si mangia. Così Lella Paita d'Italia Viva ironizza sul "fisco amico" del governo, racconta del proliferare delle carte esattoriali, del decreto che permette al fisco di trattenere lo stipendio di un dipendente pubblico. Mentre il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, getta acqua sul fuoco: "Con 18 miliardi in manovra non potevi fare di più".

Insomma, a maggio ci saranno tanti referendum in uno. "Vedremo - spiega il piddino Nico Stumpo - se gli italiani voteranno pensando al portafoglio o alle paure per quel che avviene nel mondo.

Nel primo caso vinciamo noi, nel secondo loro". La giustizia non è neppure nominata. "Noi invece - esorta il vice-ministro Sisto - dovremo parlare solo di giustizia. Sarà dura, trincea dopo trincea, ma non sono pessimista".

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