Gaia Cesare
Ieri ai coltelli, oggi fratelli. Uniti contro la Brexit. Potrebbe essere sintetizzata così l'insolita alleanza che in queste ore vede David Cameron sfilare al fianco di alcuni fra i pesi massimi del Labour per sostenere la campagna «remain» a favore della permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea. Ieri l'ultima immagine che ha fatto inorridire molti elettori conservatori: il premier a fianco di Harriet Harman, la più longeva deputata laburista a Westminster, che per due volte ha guidato il partito di opposizione nelle fasi di passaggio in attesa dell'elezione del leader in pectore. Un altro colpo per i duri e puri del Partito Conservatore dopo le uscite a braccetto con il sindaco di Londra Sadiq Khan.
È il miracolo del referendum del 23 giugno, sul quale il primo ministro inglese si gioca la reputazione. E il cui esito, a due settimane dal voto, è sempre più incerto. Anzi vede addirittura confermare la netta rimonta degli euroscettici, il cui sorpasso sembra confermato dagli ultimi due sondaggi (ma restano ancora fra il 9% e l'11% di indecisi). Per Icm il distacco si allunga con i pro-Ue al 43% contro il 48% dei favorevoli all'addio a Bruxelles. Idem per YouGov che dà il campo pro-Brexit davanti 45% contro 41%.
A proposito dell'inedito fronte comune contro l'uscita, ieri il capo del governo ha incassato anche l'appello dei principali sindacati inglesi. Rivolgendosi a 6 milioni di iscritti, Unite, Unison, Gmb e Usdaw hanno tessuto le lodi del sistema di tutele sul lavoro garantito dalla Ue. Peccato che per farlo abbiano avvertito dei rischi che un'eventuale uscita porterebbe all'epoca di un governo a guida Tory. Secondo i sindacati, votare per l'addio alla Ue significherebbe dare all'esecutivo conservatore la possibilità di smantellare i diritti acquisiti su congedo di maternità, lavoro notturno e riposi. Ed è questa l'altra incredibile bizzaria che rischia di mandare su tutte le furie molti Conservatori contrari alla linea pro-Ue del premier e alle frequentazioni anomale di queste ore.
Tra avvertimenti e timori, con Cameron che definisce la Brexit «una bomba sotto la nostra economia», non potevano mancare le uscite dei due pesi massimi del fronte opposto, quello pro-Brexit. Con la solita ironia, l'ex sindaco di Londra Boris Johnson sulle pagine del Telegraph descrive lo scioccante risveglio all'indomani di un eventuale voto favorevole alla Ue come i postumi della «peggiore sbornia possibile». Boris prevede quanto il conto da pagare per Londra sia destinato a salire l'anno prossimo a «2,4 miliardi di sterline», ben oltre i 3 miliardi di euro. «Ora e solo ora è il momento di mettere fine a questa erosione di democrazia senza limiti» - scrive il deputato Tory - per sollevarsi a favore dei «diseredati dell'Europa del Sud rovinati dall'euro», «per i lavoratori inglesi sottopagati e contro l'immigrazione incontrollata».
Ma sul tema immigrazione, come al solito a spararla più grossa è il leader dell'Ukip Nigel Farage.
Che solleva l'ennesimo polverone sventolando il rischio del moltiplicarsi di casi di molestie sessuali in stile Colonia se vincesse il sì alla Ue e le porte del Regno Unito restassero aperte agli immigrati. «Sarebbe come una bomba nucleare» dice il leader euroscettico. Ed è la seconda bomba agitata in un solo giorno per orientare le sorti del voto del 23 giugno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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