Ecco cosa rischia Londra se gira le spalle all'Europa

Cameron: «Una bomba economica». La sterlina già sotto pressione è solo un assaggio: prevista la caduta del Pil e una fuga di imprese e capitali. Con danni anche per l'Italia

Ecco cosa rischia Londra se gira le spalle all'Europa

To leave or to remain?». Andare o restare? Dentro o fuori? Poco più di due settimane separano gli inglesi dal voto referendario del 23 giugno che ne deciderà la permanenza nell'Unione europea. Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio (48% contro 43%) i favorevoli alla Brexit, al taglio netto del cordone ombelicale che lega l'isola al continente. Un pessimo segnale per quanti prefigurano scenari catastrofici in seguito al distacco. «Una bomba economica», nell'icastica espressione di ieri del premier britannico, David Cameron, usata mentre la sterlina boccheggiava ai minimi delle ultime tre settimane. La Banca d'Inghilterra ha già messo a punto un piano d'emergenza: in caso di divorzio da Bruxelles, le banche avranno a disposizione miliardi di sterline cash per fronteggiare l'eventuale caos finanziario che potrebbe scatenarsi. Insomma, elmetto in testa: potrebbero piovere non solo calcinacci. Vediamo perché.

La prima ondata

I primi, e seri, contraccolpi causati dal recupero dell'intera sovranità nazionale rischiano di arrivare subito dopo il voto. Nel profluvio di studi e analisi corredati negli ultimi mesi da una sorta di contabilità cimiteriale, il primo punto d'impatto riguarda i cambi. La sterlina potrebbe subire una svalutazione del 20% nei confronti delle altre principali monete, costringendo la banca centrale inglese a intervenire per fermare l'emorragia. Come? Attraverso un rialzo dei tassi d'interesse. Manovra comunque pericolosa: avrebbe come effetto quello di indebolire un'economia sotto stress, marcata stretta dai mercati e dove le famiglie vedranno diminuire il potere d'acquisto a causa del surriscaldamento dell'inflazione. L'instabilità conseguente dovrebbe inoltre portare a un premio di rischio più elevato sotto forma di maggiori rendimenti pretesi dagli investitori sui titoli di Stato inglesi, i cosiddetti Gilt, pena una fuga di capitali verso porti più tranquilli.

Il secondo round

Sono gli effetti di medio periodo, dipendenti in massima parte dal modo con cui Londra riuscirà a rinegoziare con l'Ue tutti gli accordi in essere, destinati a diventare carta straccia una volta consumato lo strappo con l'Europa. L'arco temporale di durata delle trattative (fino a due anni) è un altro fattore di rischio: espone il Paese a un prolungato periodo di violente oscillazioni, visto che l'incertezza è la peggiore nemica dei mercati finanziari. Se poi Bruxelles dovesse irrigidirsi, non sarebbe da escludere l'introduzione di barriere doganali e dazi su importazioni ed esportazioni. Una mazzata per la bilancia commerciale del Regno, che già soffre di un disavanzo pari al 5% del Pil. Altro contrappasso da pagare, la perdita dello status di principale piazza finanziaria europea dovuta a costi di transazione più elevati, assai sgraditi da banche e assicurazioni. Il profondo radicamento nelle economie europee può inoltre comportare gravi perdite per settori come quello dell'automobile, della chimica e dell'ingegneria meccanica. Assieme alle multinazionali, questi comparti potrebbero decidere di rientrare nell'alveo dell'Unione traslocando nella vicina Irlanda o in Lussemburgo. Risultato: un'economia in ginocchio, col fiato sul collo delle agenzie di rating per un possibile declassamento.

I danni in cifre

Circolano molte ipotesi sulle ripercussioni complessive della Brexit. Citibank ha stimato una perdita pari all'1,5% del Pil tra il 2016 e il 2018. Ancora più precise le proiezioni del Niesr, il principale istituto economico inglese: Pil a -1% l'anno prossimo e a -2,3% nel 2018. Bertelsmann Stiftung, assieme all'Ifo tedesco, paventa un calo della ricchezza nazionale britannica del 14% in 12 anni, con un costo per i contribuenti del Regno Unito pari a 313 miliardi di euro.

Un colpo al made in Italy

La separazione non farebbe male solo a Londra.

Dall'abbigliamento al vino, dai mobili ai medicinali, dai macchinari alle auto, l'Italia ha esportato lo scorso anno beni e servizi per 22,5 miliardi che hanno generato un surplus di 12 miliardi a livello di bilancia commerciale, frutto del crescente interscambio con gli inglesi negli ultimi quattro anni.

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