La chiamano operazione diplomatica, ma è una missione suicida. Eppure il kamikaze di turno, l'Alto Rappresentante per la Sicurezza e la Politica estera dell'Unione Europea Federica Mogherini, non sembra farci caso. Da ieri Lady Pesc è al Consiglio di Sicurezza dell'Onu dove lavora a una risoluzione per un intervento militare sotto guida italiana contro i trafficanti di uomini attivi in Libia. Ieri a New York l'ex titolare della Farnesina ha invocato «una risposta eccezionale, immediata e coordinata» per un'emergenza che non è solo umanitaria, «ma anche una crisi di sicurezza». Due gli hashtag : insieme e subito. L'illusione è che nel giro di pochi giorni la proposta europea possa trasformarsi nel testo di una risoluzione delle Nazioni Unite e che possa essere approvata al più presto. Il piano Ue verrà comunque sottoposto al Consiglio europeo del prossimo 18 maggio, e in quella sede c'è già «la possibilità di prendere subito la prima decisione». Certo, meglio sarebbe avere il consenso all'operazione di un governo di unità nazionale: «Ma non possiamo aspettare per combattere i trafficanti e per salvare le vite umane». Ciò che per Lady resta una priorità: «Migranti e profughi non saranno rimandati indietro. La Convenzione di Ginevra sarà pienamente rispettata». E stuzzicano l'Europa anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella («I profughi cercano l'arrivo nella Ue, e nessuno può negare che l'Unione può assorbirli senza pesi né traumi»), e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni («una condivisione dell'accoglienza sulla base di un sistema di quote sarebbe un principio giusto»). Peccato che sulla strada dell'inesperta Mogherini (e dell'Italia) ci siano superare cinque scogli che rischierebbero di far naufragare anche i più scafati capitani della diplomazia internazionale.
A Il niet russo
La Russia di Vladimir Putin è al momento lo scoglio più insidioso. Per ottenere il via libera alla risoluzione Lady Pesc deve garantirsi il consenso dei cinque membri permanenti (Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra) detentori del diritto di veto. Un consenso che la Russia non concederà facilmente. Soprattutto dopo il tentativo dei leader europei di isolare Putin, disertando le celebrazioni di Mosca per il 70° anniversario della vittoria russa nella Seconda guerra mondiale. Putin, tra l'altro, non ha digerito neppure la «beffa» del 2011, quando Parigi dribblò il veto di Mosca promettendo all'allora presidente Dmitrij Medveded di non far cadere Muhammar Gheddafi.
B Gli scogli libici
Qualsiasi «risoluzione» basata sull'articolo 7 dello Statuto Onu che regola gli interventi armati richiede un'esplicita richiesta dei governi interessati. Il governo e il parlamento di Tobruk, gli unici riconosciuti dalla comunità internazionale, si oppongono a qualsiasi operazione internazionale sui territori libici. Il «no» all'intervento straniero - ribadito nella recente intervista al Giornale dal generale Khalifa Haftar, capo di stato maggiore di Tobruk - è l'unica cosa su cui concorda anche la coalizione islamista che controlla Tripoli e le zone costiere di Zwara e Misurata da dove salpano gran parte dei barconi
C Le secche dell'Onu
Il «no» libico potrebbe venir aggirato seguendo la falsariga del 2011 quando l'Onu autorizzò il bombardamento dell'esercito di Gheddafi con la scusa di proteggere i civili. Stavolta il pretesto rischia però di rivelarsi ancor più labile perché non esistono flotte di barconi custodite in basi gestite esclusivamente dai trafficanti di uomini. Le imbarcazioni usate dai migranti spesso vengono acquistate all'ultimo minuto da pescatori libici o tunisini. E gli scafisti sono spesso semplici pescatori «arruolati» per l'occasione. Per questo il dibattito sui rischi connessi alla distruzione dei barconi e sulle perdite collaterali di civili ingaggiati saltuariamente dai trafficanti rischia di far arenare la risoluzione ancor prima del voto.
D Le rappresaglie dei trafficanti
Le organizzazioni criminali potrebbero rispondere alla distruzione dei barconi mettendo a segno delle rappresaglie contro gli stessi migranti che la risoluzione Onu punta a difendere. Per garantirne l'incolumità bisognerebbe pensare alla creazione di campi Onu protetti da forze multinazionali dove ospitare e proteggere i migranti presenti in Libia. Nessun paese, Italia compresa, è però disposto ad inviare truppe di terra sul suolo libico.
E Gli «amici» inaffidabili
L'Italia non è rappresentata al Consiglio di Sicurezza. Per questo risoluzione scritta dal nostro paese deve tener conto delle esigenze della Francia e di quell'Inghilterra a cui abbiamo chiesto di farsi carico della presentazione ufficiale del documento. L'Italia è dunque costretta a preparare un intervento militare affidandosi a due «alleati» che sono, attraverso Total e e Bp, i nostri più spregiudicati concorrenti nella cosa al gas e al petrolio libico. Due concorrenti protagonisti, quattro anni fa, di un intervento rivolto anche a troncare i rapporti preferenziali tra Roma e Tripoli e a sottrarci il controllo di una parte delle nostre risorse energetiche.
Anche stavolta rischiamo dunque di ritrovarci protagonisti di un intervento frutto di compromessi estremamente pericolosi. E come garanzia ci resta soltanto la regia di Federica Mogherini, un ex ministro degli esteri che durante il mandato alla Farnesina ha dimostrato ben poca sensibilità per gli interessi nazionali in Libia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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