Qatargate

Ecco come nascono (nel 2019) i traffici fra Panzeri e il Qatar

L'assistente parlamentare Giorgi smentisce il suo capo. Le tangenti risalgono al suo mandato da eurodeputato

L'ex europarlamentare Antonio Panzeri
L'ex europarlamentare Antonio Panzeri

Non ha aspettato la fine del mandato, per iniziare a trafficare sottobanco. Quando era ancora europarlamentare, all'inizio del 2019, Antonio Panzeri - eletto nelle liste del Partito democratico e transitato poi al seguito di Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani in Articolo Uno - aveva già avviato l'attività di lobby occulta destinata prima ad arricchirlo in modo spettacolare e poi a farlo finire nella cella dove si trova tuttora. E dove gli tocca adesso fare i conti con le pesanti accuse che il suo ex assistente Francesco Giorgi - anche lui in carcere - gli sta scaraventando addosso nel tentativo di prendere le distanze dal suo ex capo.

I traffici, racconta Giorgi nei suoi verbali di interrogatorio, iniziano ancora prima che venga fondata Fight Impunity, la ong di Panzeri: che, spiega l'ex assistente, nasce solo per dare giustificazione formale ai soldi versati a Panzeri dai governi di cui si faceva portavoce. Cioè il Qatar, il Marocco e anche - rivela Giorgi - la Repubblica Islamica della Mauritania. Un paese dove, secondo le denunce degli attivisti per i diritti umani, il venti per cento della popolazione vive in stato di sostanziale schiavitù e dove l'omosessualità è un crimine punito con la morte. Ma per Panzeri, membro attivo e influente del gruppo parlamentare dei Socialisti&Democratici, anche i soldi dei colonnelli mauritani non avevano un cattivo odore.

«É iniziato tutto all'inizio del 2019 - racconta Giorgi ai pm belgi - abbiamo definito le cifre, che ho difficoltà a ricordare, per i nostri rispettivi interventi». É una smentita piena alla linea difensiva di Panzeri che ha sempre detto di avere iniziato a muoversi come lobbista solo alla fine del 2019, dopo avere cessato l'incarico. Tutti i pagamenti, spiega Giorgi, avvenivano in contanti. Ma proprio il flusso di banconote rese necessario «professionalizzare» l'attività creando Fight Impunity, di fatto una «copertura per non destare allarme».

Sotto l'egida di Fight Impunity, Panzeri inizia a darsi da fare anche per i militari mauritani. Il paese africano, spiega Giorgi, «ha un problema d'immagine». Panzeri per i suoi interventi avrebbe ricevuto dal paese africano 25mila euro. Nei suoi verbali, Giorgi non specifica quali attività avrebbe compiuto l'ex sindacalista a favore dei nuovi clienti. Da notare è comunque che a gestire i contatti per conto dell'europalamento con il governo mauritano è la Dmag, la delegazione per i rapporti con il Maghreb, guidata da un altro esponente dem, Andrea Cozzolino: proprio quello che eredita Giorgi come assistente da Panzeri. Di lui ha parlato nei suoi verbali la deputata socialista greca Eva Kaili, divenuta la moglie di Giorgi e anche lei arrestata: «So che mio marito - ha detto la donna - stava custodendo qualcosa per il suo vecchio capo Antonio Panzeri e forse anche per il suo attuale capo, Andrea Cozzolino».

Su cosa si intenda la Kaili sul «qualcosa» custodito da Giorgi per i suoi capi si possono fare solo delle ipotesi. Della provenienza del denaro che suo marito teneva a casa in grandi sacchi (e di cui lei tentò maldestramente di liberarsi dopo l'arresto di Giorgi) la Kaili si è sempre detta all'oscuro. Ma nei suoi nuovi verbali Giorgi - che inizialmente aveva cercato di scagionarla - va giù pesante: la Kaili non faceva parte dell'organizzazione ma era al corrente che i soldi erano il frutto della attività di lobbing sotterraneo.

Le confessioni-accuse di Giorgi sono un passo avanti per l'inchiesta e sono un nuovo guaio per il gruppo S&D: sempre più in difficoltà a spiegare come mai nessuno si sia accorto del gran daffare che si dava il compagno Panzeri.

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