Dopo la «manovra del popolo» arrivano (sempre sulla carta) le «riforme del cambiamento».
Lo annunciano con squilli di trombe e rulli di tamburi l'apposito ministro grillino Riccardo Fraccaro, accompagnato dall'onnipresente vicepremier Di Maio e - in qualità di «esperto» di riforme - dal leghista Roberto Calderoli. E lo annunciano nel giorno del terremoto sui mercati, dello scontro con l'Unione europea e del caos sul Def, creando l'impressione di una manovra di diversione mediatica: «Il tentativo di cambiare discorso e parlare di altro anziché della manovra di Bilancio deve essere un'idea di Casalino», attacca Matteo Renzi. «Ma le riforme del cambiamento sono una gigantesca presa in giro». Per Mara Carfagna di Forza Italia si tratta di «riforme pasticciate dal sapore propagandistico». E ricorda: «Ci ha provato Matteo Renzi e gli italiani lo hanno respinto con perdite, ora Luigi Di Maio ne vuole evidentemente seguire le orme».
La «riforma» è in realtà solo un'operazione di maquillage numerico: si prevede di «tagliare» un po' di deputati e senatori, senza modificare in alcun modo assetto e funzioni delle Camere di appartenenza, e si proclama che così si risparmieranno dei soldi. L'unica modifica istituzionale, assai inquietante, sta nella proposta di introdurre un referendum propositivo e senza quorum: è la teoria della «democrazia diretta» sostenuta da Casaleggio, Grillo e compagnia cantante. Secondo il disegno di legge costituzionale presentato ieri dalla maggioranza, potranno essere presentate «proposte di legge di iniziativa popolare» corredate da almeno 500mila firme, e il Parlamento sarà tenuto ad esaminarle e votarle entro 18 mesi: «Se così sarà il referendum non si tiene, altrimenti vengono messe in votazione le diverse proposte e quella con più voti sarà approvata», spiegano (confusamente) i promotori. E il referendum sarà senza quorum, «così sarà messo» uno stop «agli inviti a non partecipare al referendum». Fraccaro è entusiasta: «Le abbiamo chiamate riforme del cambiamento perché incarnano, più di tutte le altre, lo spirito del cambiamento su cui abbiamo avuto il mandato degli elettori il 4 marzo».
Il cuore della proposta è contabile: il taglio del numero dei parlamentari, da 945 a 600. A Montecitorio si scenderebbe da 630 a 400, a palazzo Madama da 315 a 200. Ridotto anche il numero degli eletti all'estero: 8 alla Camera e 4 al Senato. «È il più grande taglio dei costi della politica della storia», spara Fraccaro. I calcoli dei 5 Stelle (si spera più accurati di quelli sul Def) parlano di circa 100 milioni l'anno, 500 milioni a legislatura. La prossima tappa, udite udite, sarà la presentazione di una proposta «per l'abolizione del Cnel». L'avevate già sentita? Era uno dei punti della riforma Renzi-Boschi, e l'attuale maggioranza votò appassionatamente no: ora la recupera.
Il diverso numero dei parlamentari, se mai la riforma passasse, renderebbe inevitabile una modifica della legge elettorale. E qui l'atteggiamento dei grillini si fa curioso: in pratica, propongono di tenersi stretto il Rosatellum, quello contro cui erano scesi in piazza al grido di «mette a rischio la democrazia» e «crea ammucchiate di convenienza», modificando solo gli aspetti tecnico-numerici. «Al fine di «evitare l'eventualità di vuoti normativi», spiegano, «si ritiene che il ritorno ad una impostazione che preveda, in luogo del numero dei seggi, l'indicazione del rapporto percentuale tra i seggi uninominali e plurinominali ed il numero dei parlamentari, possa rappresentare la soluzione ottimale.
Con tale modalità la modifica del numero dei parlamentari non comporterebbe interventi sulla legge elettorale, lasciando il Parlamento in ogni momento rinnovabile senza alcuna alterazione del sistema elettorale». Rosatellum forever, insomma.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.