Ecco le sette domande che il pm farà a Conte

Chi è già passato sotto il torchio del procuratore Maria Cristina Rota, come il governatore della Lombardia Attilio Fontana, racconta di un clima di rispetto formale, ma anche di durezza investigativa.

Ecco le sette domande che il pm farà a Conte

Chi è già passato sotto il torchio del procuratore Maria Cristina Rota, come il governatore della Lombardia Attilio Fontana, racconta di un clima di rispetto formale, ma anche di durezza investigativa: con l'obiettivo preciso di capire se la catastrofe sanitaria che ha investito il nordest lombardo potesse venire mitigata, riducendo il numero delle vittime. E quando oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riceverà la Rota e i suoi colleghi, si troverà davanti allo stesso scenario. Con tutto il rispetto per la sua carica, gli verrà ricordato che è obbligato a dire la verità, e che la giustizia proseguirà il suo corso.

Da ieri, lo staff legale del premier lavora all'interrogatorio, preparando argomenti e documenti per rispondere alle domande che Conte si aspetta. Saranno in parte le domande già rivolte a Fontana, all'assessore lombardo alla Sanità Giulio Gallera, e mercoledì scorso al presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, con al centro la mancata istituzione della «zona rossa» nei comuni di Alzano e Nembro. Ma molto probabilmente, per il ruolo ricoperto da Conte alla vetta della catena di comando, i pm bergamaschi vorranno capire anche il contesto nazionale in cui il focolaio della Val Seriana si è tragicamente sviluppato.

1. I PRIMI ALLARMI

È uno dei temi su cui in pubblico il governo non ha mai dato informazioni complete ed esaurienti: il flusso di informazioni che dai canali disponibili (diplomatici, sanitari, di intelligence) ha portato tra la fine del 2019 e il 2020 a delineare progressivamente lo stato di avanzamento del virus verso l'Europa e in particolare verso l'Italia. Capire quali dati il governo aveva a disposizione è importante per valutare il decreto del 31 gennaio che dichiarava lo stato di emergenza sanitaria, senza però che venissero prese misure concrete di contenimento per quasi un mese. Lo stato di emergenza viene dichiarato il 31 in seguito al provvedimento analogo dell'Organizzazione mondiale della sanità del giorno prima e del ricovero a Roma di due turisti cinesi infetti. Ma già il 22, senza darne comunicazione pubblica, il governo aveva varato un primo intervento. In base a quali informazioni?

2. IL MESE INERTE

Dopo il decreto non accade nulla, a parte l'introduzione dei controlli negli aeroporti e la sospensione dei voli per la Cina. Durante questo periodo da Conte vennero ripetuti inviti a non drammatizzare la situazione per evitare forme di panico. Quali canali di informazione erano stati attivati sia per monitorare la situazione all'estero sia per rilevare la presenza di eventuali focolai già attivi in Italia? Oggi sappiamo che in quei venti giorni l'epidemia era già presente in Italia e che un numero imprecisato di portatori stava già incubando il virus

3. LA RICHIESTA DI SPERANZA

Un punto cruciale è accertare cosa accade a Roma tra il 20 febbraio, quando a Codogno viene accertato per la prima volta in Italia un caso autoctono di Covid-19, e i primi giorni di marzo. In quella settimana sul tavolo del governo arrivano in presa diretta i dati sui contagi rilevati ovunque in Italia, si capisce subito che la situazione più critica è quella lombarda e viene individuato il focolaio veneto. Il 23 febbraio viene firmato il decreto che istituisce le zone rosse di Codogno e Vo' Euganeo. Lo stesso giorno vengono diagnosticati i primi quattro casi su cui indaga ora la Procura di Bergamo: un paziente e un infermiere a Alzano, dove viene chiuso il pronto soccorso, e due a Seriate. Il giorno dopo all'ospedale Giovani XXIII di Bergamo muore il primo paziente. Perché non viene decisa subito l'istituzione di una red zone anche lì? Si dovranno attendere sei giorni, il 2 marzo, perché il ministro della Salute Roberto Speranza telefoni a Conte proponendo di «chiudere tutto». Ma non accade nulla.

4. LE PRESSIONI PER ANDARE AVANTI

Un aspetto chiave dell'indagine riguarda i condizionamenti esterni che potrebbero avere frenato l'adozione di misure radicali dal governo. Lo stesso giorno della telefonata di Speranza, a Conte sarebbero arrivate altre segnalazioni esplicite sul focolaio nella Bergamasca, eppure non accade niente. Niente neanche il giorno dopo, quando dal Comitato tecnico scientifico arrivano dati impressionanti, con venti contagiati tra Alzano e Nembro. Il Cts propone di istituire la «zona rossa» e il blocco totale delle attività. Ma da sempre si parla di pressioni per non paralizzare l'industria del nordest lombardo che avrebbero spinto il governo a ritardare il provvedimento. E vero? Gli inquirenti avrebbero già acquisito documenti in questo senso, comprese interviste e bozze di interviste di amministratori locali preoccupati per l'impatto economico delle misure. Fontana ha già indicato alla Rota da quali organismi locali e nazionali e in che forma sarebbero venute le richieste di attenuare il peso delle chiusure.

5. LA SECONDA FINESTRA

Dopo la telefonata di Speranza, passano altri cinque giorni in cui in Lombardia, comprese Alzano e Nembro e con l'unica eccezione di Codogno, si continua a circolare come se niente fosse, nonostante contagi e ricoveri in aumento costante. Bisogna aspettare la sera dell'8 marzo perché vengano chiuse la Lombardia e 14 province, e il 9 perché le stesse misure vengano estese a tutta Italia. È una finestra di inattività senza spiegazioni apparenti, e che verosimilmente il premier dovrà giustificare. Anche perché l'altro ieri è stato interrogato Brusaferro, che in quei giorni, il 5, avrebbe proposto esplicitamente a Conte di creare la zona rossa a Alzano. In quei giorni, la diffusione del virus nella mancata «zona rossa» si fa esponenziale.

6. I RAPPORTI CON LA LOMBARDIA

È un altro punto-chiave, e Conte dovrà fornire la sua spiegazione sia sui contatti avvenuti con la Regione che sulle norme da applicare. Anche qui a condizionare l'interrogatorio saranno i verbali già acquisiti dalla pm Rota sentendo Fontana e soprattutto Gallera che il 3 aveva chiesto al governo di blindare la zona. Ma non ci sono solo i verbali. La Procura ha già in mano anche documenti acquisiti durante le indagini e che verranno sottoposti a Conte. Tra questi ci sono gli atti relativi alla zona rossa istituita nel Lodigiano, dove alla richiesta regionale di inserire 22 comuni il governo replica dichiarando eccessivo il numero («ventidue non riesco a gestirli» avrebbe detto Conte) e chiudendo alla fine solo dieci Comuni. Un dato che dimostrebbe sia che la parola finale spettava a Roma, sia la sensibilità di Conte alle pressioni che riceveva.

7. I MILITARI SPARITI

Tra il 4 e il 5 marzo, l'esercito circonda Alzano e Nembro, e si prepara a bloccare tutte le strade di accesso alla Valseriana. Chi dà l'ordine della ritirata, aprendo la strada all'ecatombe?

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