Due buone notizie sul fronte anti-covid. Una dedicata agli ex ammalati a cui gli scienziati cinesi spiegano che tutti, ma proprio tutti, hanno sicuramente sviluppato anticorpi dopo la malattia. E, di conseguenza, sono probabilmente immunizzati, almeno per un anno o due. L'altra notizia è dedicata agli scampati al virus che, se tengono duro, potranno immunizzarsi, ma con un vaccino. Anthony Fauci, direttore del Niaid, ieri ha dichiarato che per gennaio potrebbero essere prodotte centinaia di milioni di dosi di vaccino preparate, per accorciare i tempi, prima che si siano completati i trial di sperimentazione clinica.
Ma in attesa di vaccino, risolutore di ogni guaio, accontentiamoci degli anticorpi immunizzanti con cui l'organismo potrebbe neutralizzare un eventuale attacco del virus per almeno uno o due anni. È quanto si deduce da uno studio cinese pubblicato su Nature Medicine, firmato da alcuni scienziati della Chongqing Medical University e sintetizzato da Guido Silvestri docente italiano alla Emory University di Atlanta, nella sua pagina Facebook. «In un articolo si mostra che ben 285 su 285 (il 100%) pazienti con Covid-19 sviluppano IgG contro Sars-CoV-2 entro 19 giorni dall'inizio dei sintomi clinici», il tipo di anticorpo normalmente responsabile della protezione a lungo termine contro un agente microbico. «Lo studio è importante - aggiunge Silvestri perché conferma che il nostro sistema immunitario monta una risposta anticorpale contro il virus. Risposta che con tutta probabilità, basandosi sui precedenti di Sars-1 e Mers, oltre che sui modelli animali di infezione da coronavirus, protegge dalla reinfezione o almeno dal ritorno della malattia. Ancora non possiamo sapere quanto dura questa risposta, ma i precedenti con virus simili suggeriscono che dovrebbe durare almeno 12-24 mesi».
In particolare nello studio emerge che «la sieroconversione per IgG e IgM si è verificata contemporaneamente o in sequenza ed entrambi i titoli anticorpali di IgG e IgM hanno raggiunto il plateau entro 6 giorni dalla sieroconversione». La conseguenza? Secondo gli autori, «i test sierologici possono essere utili per la diagnosi di pazienti sospetti Covid con risultati Rt-Pcr (tamponi, ndr) negativi e per l'identificazione di infezioni asintomatiche».
E a proposito di asintomatici, a Codogno ben 100 persone su 170, cioè il 60%, dopo aver fatto la quarantena, erano positive al virus e quindi infettive, anche se accusavano lievissimi sintomi o addirittura nessuno. Ma il Covid non è stato scoperto con il tampone, bensì con la radiografia al torace. La malattia, infatti, si era fatta strada nei polmoni ed era visibile nelle «lastre» che evidenziavano l'immagine di una polmonite interstiziale bilaterale correlata al Covid. La scoperta è stata fatta da un team di ricercatori dell'Irccs Galeazzi e dell'università Statale di Milano, autori di un'indagine su pazienti del primo focolaio di nuovo coronavirus svelato in Italia, quello di Codogno. «Il lavoro - spiega Luca Maria Sconfienza, responsabile dell'Unità di Radiologia diagnostica e interventistica al Galeazzi e professore alla Statale di Milano - si è focalizzato sull'analisi retrospettiva delle radiografie al torace eseguite post-quarantena. I pazienti, dopo la fine dell'isolamento, richiedevano la Rx perché accusavano solo qualche malessere o una febbricola».
Le radiografie hanno fornito brutte sorprese e hanno confermano che il virus viaggia in incognito e le persone «possono risultare positive al virus e contagiose anche in assenza di sintomi e anche dopo due settimane di quarantena».
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