Effetto Londra o rischio paralisi: la Spagna con il rebus del voto

Si torna alle urne, primo test dopo la Brexit. Popolari favoriti sulla sinistra, ma nessuno avrebbe i numeri per governare

Effetto Londra o rischio paralisi: la Spagna con il rebus del voto

Madrid La Spagna ci riprova e oggi, per la seconda volta dallo scorso 20 dicembre, va al voto per dare un governo al Paese, dopo il nulla di fatto di sei mesi fa. Nel primo turno, grazie al successo di Podemos, le urne hanno consacrato la fine del bipartitismo popolari-socialisti, con uno scenario di frammentazione e ingovernabilità. Inutili sono stati i tentativi di dialogo tra i socialisti di Sánchez e gli ex Indignados di Iglesias. Persino il Pp del premier uscente Rajoy ha tentato un impossibile inciucio coi socialisti che hanno ricevuto picche anche da Podemos. Ora, dopo settimane di noiosi dialoghi, sono tornati gli stessi manifesti, gli stessi spot elettorali, perché tutto si ricicla nella Spagna colpita dalla più brutale crisi economica, che guarda con timore e sospetto il Regno Unito che lascia la Ue, severa matrigna che negli ultimi quattro anni ha dettato a Rajoy la politica economica con i suoi sanguinosi tagli. Merito della Merkel o merito degli spagnoli, la disoccupazione che aveva raggiunto l'orrendo tetto dei 6 milioni di senza lavoro, è scesa a 4 e nel Paese si avverte una timida ripresa che potrebbe, però, secondo gli analisti, venire infastidita dalla Brexit, considerati i molti interessi britannici sul suolo iberico, dalle banche alle energie. Con la cura teutonica il deficit pubblico è al 5% (il doppio di quello italiano) e la contestata riforma del lavoro ha creato qualche posto in più.

Ma le elezioni di oggi rimangono un rebus. Da settimane gli stessi candidati, gli stessi comizi, le stesse promesse. E i sondaggi dicono gli stessi risultati e il rischio di una nuova paralisi. Il malumore serpeggia in un Paese in crisi di autostima, in rivolta contro i vecchi partiti, ma incapace di credere al cento per cento ai nuovi. Poi c'è l'erbaccia della corruzione, mai estirpata nelle vecchie rappresentanze politiche e persino nella Corona dei Borbone, con l'imputazione di Cristina, figlia di Juan Carlos.

Unico fattore inedito, rispetto a dicembre, è l'alleanza di Podemos con i comunisti di Izquierda Unida: Iglesias, il professore con il codino da tanguero, spera così di sommare ai voti del suo partito tutto il milione di consensi riscosso al primo turno dalla sinistra iberica. Voti che, in quell'occasione, fruttarono a Iu soltanto due seggi in Parlamento, secondo una legge elettorale che penalizza oltre misura i gruppi minori. Questa volta Pablo Iglesias è convinto di spuntarla, di asfaltare i socialisti, ma, se non supererà i popolari di Rajoy, primo partito, benché incapace di rinnovarsi, il Paese piomberà nuovamente nell'ingovernabilità, perché sarebbe pura fantascienza pensare a un inciucio tra Podemos e conservatori.

Quelli messi peggio, però, sono quelli con la rosa in pugno. A meno di clamorose rimonte dell'ultima ora, Pedro Sánchez, il belloccio che ha scalzato Rubalcaba dalla segreteria, non durerà a lungo. Se Iglesias riuscirà a fare il «sorpasso» sui socialisti, come dice lui stesso in un ottimo italiano, citando nei suoi comizi Gramsci e Berlinguer, Sánchez dovrà lasciare. Unica sicurezza per il Psoe è l'Andalusia, storico serbatoio di voti socialisti, dove Podemos non ha attecchito e non è accettato come alleato di Governo per la sua propensione a concedere il referendum per l'indipendenza a Catalogna e Paesi Baschi. Chi ha caldeggiato un'alleanza, ha sbattuto il muso contro sostanziali differenza tra i due partiti, in disaccordo su tutto, dall'economia all'ideologia. Il sorpasso di Podemos sul Psoe complicherebbe, però, la formazione del cosiddetto «governo del cambiamento» sognato da Iglesias che, comunque, avrà bisogno dell'appoggio anche dei socialisti che, tuttavia, potrebbero spaccarsi sull'investitura del «Codino» a premier. Se, invece, il Psoe eviterà il sorpasso a sinistra, allora sarà più semplice collaborare con Iglesias da una posizione di forza, altrimenti, sarà ancora ingovernabilità.

Sul versante opposto i centristi di Ciudadanos di Albert Rivera tratterebbero con i Popolari soltanto se

Rajoy, troppo compromesso dagli scandali di corruzione, lasciasse, ma andrebbero a riscrivere la politica economica del Pp che, secondo loro, ha seppellito il Paese. L'Europa sta a guardare, dopo la Brexit, tutto è possibile.

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