È il reality show dei giallorossi. Giuseppe Conte ed Elly Schlein sono costretti a litigare fino alle europee dell'anno prossimo per alzare l'audience. Solo che in questo caso la posta in palio non è qualche punto percentuale in più negli ascolti ma la guida del cosiddetto «campo progressista». Lei punta a superare il 20% per costringere Conte a fare il socio di minoranza dei dem. Lui vuole un pareggio sostanziale per rimescolare le carte e ottenere il risultato di un fronte in cui entrambi gli alleati abbiano pari dignità. «Se il Pd non dovesse superare il 20%, vorrebbe dire che noi avremmo tenuto botta», pronosticano i deputati del M5s mentre vagano in Transatlantico. Dal Pd ostentano sicurezza, certi che le elezioni europee metteranno in chiaro i rapporti di forza tra i due partiti che si stanno contendendo il voto della sinistra.
A lungo termine, dunque, l'orizzonte inevitabile è quello di una pace armata. Ma fino al rinnovo dell'Europarlamento Conte e Schlein saranno obbligati a fare cane e gatto. In un teatro dei pupi fatto di accuse e retromarce, fughe e appuntamenti al buio. I due protagonisti della strana coppia giallorossa si parlano addosso attraverso le agenzie e scelgono di non incontrarsi mai. Da questo punto di vista, il tour verso le amministrative del 14 e 15 maggio è diventato già un piccolo caso. Conte e Schlein girano la penisola e non trovano mai il tempo di vedersi. Nemmeno nei pochi comuni dove sostengono lo stesso candidato sindaco. Prendiamo Torre del Greco, città in provincia di Napoli, in cui Pd e M5s appoggiano entrambi Luigi Mennella. L'ex premier e la segretaria tengono un comizio nello stesso posto, eppure costruiscono l'agenda con l'obiettivo di non incrociarsi. I vertici dei Cinque Stelle pensano che un atteggiamento meno bellicoso nei confronti dei dem toglierebbe «agibilità politica» a Conte in vista del traguardo delle europee. Dal canto suo, Schlein non si sottrae alla competizione e colloca il Pd decisamente a sinistra. Dai diritti civili al rilancio sul tema grillino del salario minimo. Mentre al M5s non resta che cavalcare le due questioni su cui la segretaria è stata ambigua, ovvero la guerra in Ucraina e i termovalorizzatori, a partire da quello di Roma, voluto dal sindaco dem della Capitale Roberto Gualtieri.
Schlein è talmente concentrata sulla corsa al voto grillino che si disinteressa dei moderati. Le defezioni di esponenti come Enrico Borghi, Andrea Marcucci e Carlo Cottarelli sembrano non turbarla più di tanto. «Chi lascia le fa un assist, perché lei vuole cambiare la natura del partito», spiega al Giornale un autorevole deputato del Pd, non intenzionato a mollare il Nazareno. Anche dal punto di vista interno, l'orizzonte di molti riformisti sono le europee. «Per il momento la incalzeremo nel merito», abbozzano gli ex renziani. Poi si vedrà. Alle elezioni per l'Europarlamento, un risultato simile a quello di Enrico Letta alle ultime politiche metterebbe Schlein nel mirino della fronda. Allo stesso tempo, non è escluso che qualcun altro decida di cambiare casacca e orientarsi verso Azione e Italia Viva. Ma la segretaria non ha un piano per fermare l'emorragia. E, stando alle voci che circolano al Nazareno, le va bene così. Speculare la situazione di Conte. Se alle europee il M5s verrà staccato dal Pd, inevitabilmente si metterebbe in moto la macchina del dissenso pentastellato. E l'ex sindaca di Roma Virginia Raggi è già pronta ad approfittare della situazione. Oltre a Raggi rispunterebbero fuori vecchi problemi lasciati sotto il tappeto.
A partire dalla regola del doppio mandato, un principio che i parlamentari stellati chiedono di cancellare.Intanto Conte e Schlein sono intrappolati nel ruolo degli antagonisti. Attori di una pace impossibile, almeno fino alle europee.
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